STEFANIA SAPORA

                 COGITO ergo SUM.....ergo DIGITO

 


Dalla Dissertazione di Dottorato IX ciclo (1993-96)

 

           LA COSCIENZA COME AMBIENTE OMNICOMPRENSIVO

 

 

1. La Coscienza come ambiente omnicomprensivo


E' molto importante, ai fini di una giusta comprensione del concetto carabellesiano di coscienza, che risale al suo periodo critico, sottolineare innanzitutto che in Carabellese ritroviamo un ribaltamento della concezione tradizionale dello coscienza che voleva questa come un attributo dell'uomo: tra i suoi obiettivi vi è infatti quello, ricordiamo, di opporsi all'umanismo antropocentrico[1] di una lunga tradizione gnoseologica e intellettualistica, e ciò comporta pure la polemica con una conzezione  che vuole l'uomo come centro della coscienza e della verità: "[...] errore [...] [è l]'identificazione della coscienza con l'uomo."[2]. Carabellese, appunto in ciò proponendo una lettura metafisica della Coscienza, ribalta l'ottica affermando la centralità della Coscienza in se stessa e della Verità in se stessa: non è la coscienza che appartiene all'uomo, ma l'uomo alla Coscienza [3]. Fuori dalla Coscienza,  per Carabellese  non vi è nulla: tutto è Coscienza[4], cosicché egli intende per Coscienza "[...] ciò di cui non v'ha al di là [...]" [5]. La Coscienza è dunque tutto, il che significa dire, se si capovolge il punto di vista, che tutto è coscienza, nel senso che l'essere nella sua essenza profonda è coscienza, la quale pertanto non viene concepita come una proprietà della soggettività, sia essa trascendentale o empirica, ma anzi viene considerata come l'orizzonte omnicomprensivo sia della soggettività che dell'oggettività. Carabellese dà alla coscienza un significato amplissimo: "[...] coscienza non è solo umanità, e tantomeno solo proprietà della coscienza umana." [6]. Ciò significa, ed è questo il punto che mi preme sottolineare pena l'incomprensione del suo concetto di Coscienza, che Carabellese dà un valore metafisico alla coscienza, che perciò noi scriviamo, come solo raramente egli fa, Coscienza, appunto con la lettera maiuscola per distinguerla da quella coscienza che è solo un attributo umano.

2. La Coscienza come essere: l'Essere che sa, il Sapere che è

La dottrina della Coscienza-come-essere o dell'essere-in-quanto-Coscienza, che è concordemente considerata da molti critici il fulcro del pensiero carabellesiano e che ci sembra invece di aver messo in luce sia, oltre che un punto di arrivo, anche un punto di partenza del suo percorso filosofico, nel contempo è quella che ha prodotto le maggiori discordanze in merito alla sua interpretazione [7]. A questo proposito è necessario sottolineare che l'interpretazione, comune a molti critici, della Coscienza carabellesiana come condizione di possibilità sia dei soggetti che dell'oggetto in senso trascendentale incorre nel non lieve pericolo di ridurre il pensiero carabellesiano a un orizzonte soltanto trascendentale che, seppure come vedremo presente in  Carabellese, non esaurisce a nostro parere i livelli a cui il suo concetto di Coscienza si pone. Interpretare tale concetto di Coscienza in Carabellese soltanto come condizione di possibilità di ogni soggettivo atto di coscienza significa infatti da un lato porre nel giusto rilievo la matrice kantiana del suo pensiero [8], ma dall'altro disconoscere che Carabellese consapevolmente si pone sulla linea di un oltrepassamento di Kant [9], almeno il Kant critico. Ma anche questo oltrepassamento non viene colto a nostro avviso nella sua essenza più profonda se lo si legge all'interno di una dimensione  comunque soggettiva della coscienza, seppure non più strettamente gnoseologica, ma allargata a tutte le sfere dell'esperienza dell'uomo. Si vuole dire che l'abbandono della dimensione gnoseologica che ci consente,  assieme a Semerari, di parlare di un oltrepassamento del Kant criticista avviene non soltanto in nome di un semplice allargamento dalla ragione conoscitiva alle altre sfere della coscienza umana, come pure si è dato in altri autori che nel loro itinerario speculativo si sono rifatti a Kant, bensì attribuendo alla Coscienza  una latitudine specificatamente metafisica [10]. Parlare senz'altro a ragione di un oltrepassamento di Kant, che significa comunque un porre anche il pensiero di Carabellese sulla linea di continuità degli sviluppi del pensiero kantiano, è possibile se si intende il kantismo di Carabellese come un oltrepassamento della dimensione gnoseologica che va, oltre che in direzione trascendentale,  metafisica.  La Coscienza carabellesiana, in altre parole, è anche condizione di possibilità dell'esperienza in senso trascendentale, ma travalica questo significato, che Carabellese considera comunque riduttivo per la limitazione della coscienza a funzione del soggetto. Non interpretare correttamente la Coscienza nella sua valenza metafisica, pertanto, conduce a nostro parere a non comprendere in che cosa consista l'ontologismo critico o ontocoscienzialismo, e che cosa intende Carabellese quando taccia le filosofie soggettivistiche di umanesimo e antropocentrismo.

Ma occorre dire che lo stesso autore conduce l'interprete a questo sostanziale  travisamento del suo pensiero. La dottrina carabellesiana della Coscienza risente infatti della continua trasposizione di piano tra la coscienza intesa come proprietà del soggetto e la Coscienza intesa in senso metafisico, che è quella che più specificatamente connota il pensiero di Carabellese come onto-coscienzialismo. A proposito del livello metafisico della Coscienza, Carabellese, sottolineando che è la "via ontologica" che vuole percorrere (per giungere al livello metafisico), in un luogo ormai maturo della sua opera, in cui le linee della metafisica critica erano già tracciate seppure qui non esplicitate, quasi riecheggiando Parmenide, dice: "La coscienza, dunque, è ontologica, cioè sa l'essere, anzi è essere, anzi puramente e semplicemente è." [11]. Riferendosi invece al piano della coscienza soggettiva, in un luogo precedente della stessa opera argomenta che la vera scoperta che Kant ci fa fare, e di cui ci si accorge soltanto oggi, è che "[...] l'essere è lo stesso essere che è, come tale, nella coscienza, cominciamo cioè a scoprire il concreto [...]; quell'essere in sé universale che era già il precritico oggetto del sapere filosofico vero e proprio, cioè della cosiddetta filosofia prima, non può non richiedere la stessa sua universalità nello stesso sapere; [...] un sapere determinato, che, come tale, riguarda l'essere universale, pone [...] quell'essere al di là di sé: ponendolo al di qua, gli darebbe la sua propria determinazione [...]"[12]. Nonostante questo traslitterare di piani, si è voluto riportare queste due citazioni perchè in esse, seppure da punti di vista diversi, Carabellese dà una definizione positiva della Coscienza come essere, che in molti altri luoghi della sua opera riceve viceversa una definizione negativa a partire dalla polemica carabellesiana con quegli indirizzi filosofici che misconoscono il convergere nella Coscienza di essere e pensiero.

La concezione della Coscienza come essere infatti, oltre ad aver prodotto notevoli incomprensioni nella critica, può essere considerata uno dei punti a partire dai quali si diramano le diverse polemiche che Carabellese apre con l'idealismo, il realismo non scolastico, l'empirismo, ecc., nonché l'origine della sua polemica sul rapporto soggetto-oggetto, che tra poco vedremo, e dell'accusa di gnoseologismo che muove a quelle correnti di pensiero. Innanzitutto nella definizione della sua concezione della Coscienza come essere  Carabellese non poteva non definire parallelamente la sua concezione dell'essere [13]. Il problema dell'essere, mentre è essente come abbiamo visto nella coscienza comune perché implicito, viceversa è fondamentale per la filosofia, che lo tematizza attraverso tutta la sua storia. Il confronto con lo sviluppo della storia della filosofia su questo problema significa per Carabellese, al pari di Heidegger [14], l'apertura di una  polemica con le diverse concezioni che lungo l'arco di questo sviluppo si sono date del problema dell'essere. Secondo Carabellese il problema dell'essere è sempre stato posto in termini empiristici, ossia come domanda sull'essere delle cose escludente l'io conoscente, e ciò ha condotto a quel concetto assolutamente generalissimo di essere che è il risultato dell'astrazione da tutti i particolari modi di essere delle cose. Questo concetto universalissimo è dunque un concetto vuoto, negativo, un puro nulla [15], cosicché si ha la contraddizione che affermando l'essere in questi termini, sia da parte dell'empirismo sia da parte del razionalismo, lo si nega. Di fronte a queste posizioni, Carabellese recupera la grandezza di Cartesio  nell'affermare l'intrinsecità dell'Essere al pensiero e nel portare dentro l'essere l'io non come cosa tra le cose ma come soggetto conoscente: io posso conoscere perché sono, se non sono non posso conoscere. L'importanza di Cartesio consiste anche[16] nell'affermare la connessione di essere e sapere, di essere e pensiero [17], dal momento che l'io è definito come colui il quale, ponendo la domanda sul proprio essere, la pone sull'essere in generale. Così facendo, Cartesio elimina la separazione tra me che conosco e le cose conosciute, e apre la strada all'essere concreto, il Concreto, che non è il risultato di un'astrazione empirica, ma piuttosto è l'essere di coscienza puro, nel quale io sono con la mia singolarità piena di essere che sente, vuole, conosce, di cui abbiamo già visto la vicinanza a Dilthey, pur nella differenza del progetto complessivo dei due pensatori, nell'obiettivo comune di opporsi al riduzionismo di una coscienza intesa solo come ragione conoscitiva[18]. Infatti Carabellese rifiuta la definizione del suo ontologismo come razionalismo, perché critica il restringimento della Coscienza a Ragione, intesa dal punto di vista soggettivo come sola dimostrazione razionale, ma nel contempo si guarda anche da qualunque forma di irrazionalismo: "[...] non v'ha filosofia più antirazionalistica di questo mio concretismo idealistico o ontologismo critico. Questo, infatti, non solo, ammettendo la diversità delle forme di coscienza, non limita la coscienza alla discorsività intellettuale, ma anche, ammettendo la individuazione dell'essere, non limita la coscienza alla dimostrazione [perché] è escludere la singolarità di coscienza; [...] negare la coscienza concreta. [...] Perciò il nostro non è né razionalismo né irrazionalismo, perché è concretismo. Razionalismo e irrazionalismo sono entrambe posizioni speculative [...]."[19] In questa densa definizione del suo idealismo concretistico è racchiusa, nei suoi vari livelli, tutta la metafisica carabellesiana che verrà poi alla luce nei corsi dell'ultimo periodo.

Ma l'affermazione  dell'Essere come Pensiero,  sebbene ponga Carabellese da subito di fronte al problema della soggettività dell'Essere, come ne L'Essere e il problema religioso, che è del 1914, non lo conduce alle posizioni dell'idealismo soggettivo, dal momento che Carabellese intende per soggetto "[...] un'unità di coscienza, e quindi sentimento, sviluppo, fine, perfezionamento."[20], ossia uno dei molteplici pensieri in cui l'Essere si esplica. Dire che l'Essere è Pensiero vuol dire viceversa per Carabellese che l'Essere è accadere, è attuarsi, è attività, perché pensiero dell'Essere sono per Carabellese gli accadimenti del mondo fenomenico[21]. Ma Carabellese è consapevole che risolvere l'Essere nell'accadere significa avere una concezione panteistica dell'essere, mentre viceversa porre tra Essere e accadere  una distanza vuol dire averne una concezione teistica[22]: qui, in quello che lui stesso definisce il suo periodo precritico, che va sino al 1915 de La coscienza morale, Carabellese ancora non ha trovato quella soluzione che gli consente di porre una continuità tra l'Essere e l'accadere. Il problema si pone nei termini di immanenza o trascendenza dell'Essere, e a questo stadio del suo pensiero, nell'opera del 1914, Carabellese non sembra risolversi per una posizione chiara, sebbene affermi l'impossibilità di una dottrina teistica che implicherebbe quella trascendenza che per lui qui è propria della concezione religiosa ma non può  appartenere alla riflessione filosofica [23] Guardando agli sviluppi metafisici che la concezione dell'Essere ha in Carabellese, non possiamo non concordare con  le parole di Ornella Nobile Ventura, che afferma: "L'Essere è dunque la stessa Coscienza dell'Essere. [...] l'attività, che è dell'Essere, è nel contempo dei soggetti che individuano, pensando, l'Essere; cioè l'attività è dei soggetti concreti, che, vincolati dalla loro [...] scambievole relatività, sono, in quanto concreti, la stessa Coscienza. L'Essere nella sua pienezza è implicito in ciascun soggetto [...]. Questo comune implicito [...] costituisce la coscienza comune dei molti [...]" [24] Dove però è importante non identificare ed esaurire senza residui la Coscienza dell'Essere nella coscienza dei soggetti, seppure intesa nella sua implicitezza e universalità di coscienza comune, né l'Essere nella Coscienza. Quell'identificazione senza residui, proprio nell'appiattire il livello metafisico sul piano dei soggetti, seppure li innalza come vuole Carabellese al livello metafisico, contro l'antropocentrismo di coloro che sul piano storico-concreto attribuiscono soltanto all'uomo la coscienza, non esaurisce né il significato che Carabellese dà al termine Coscienza, dal momento che Carabellese  contesta il soggettivismo di coloro che affermano la Coscienza essere attività che si esplica nei soli soggetti, né i livelli dell'Essere, di cui uno è la Coscienza.

 

3. La Coscienza come Concreto

 

Dall'analisi dell'opera carabellesiana è possibile affermare  che la Coscienza metafisicamente intesa sia da Carabellese denominata anche come Concreto, che per lui ad un determinato livello è un Pensiero che è o un Essere che sa, dunque un Essere-Pensiero.

Perciò il Concreto  come Essere-Pensiero è da un lato espressione polemica nei confronti del realismo tradizionale che considera come concreto solo ciò che è concretamente visibile, dall'altro nei confronti dell'idealismo soprattutto soggettivo, accomunata secondo Carabellese dall'errore di scindere essere e pensiero dando l'uno il primato all'essere, l'altro al pensiero. L'obiettivo della teoria carabellesiana della Coscienza come Essere-Pensiero è infatti quello di superare la separazione dualistica tra essere e pensiero che secondo Carabellese attraversa tutta la storia della filosofia, per riaffermare viceversa la concretezza della Coscienza, che è sempre un Essere che sa, o un Pensiero che è, ossia un implicarsi vicendevole di essere e pensiero che solo astrattamente possono essere separati.

Il Concreto carabellesiano  implica anche il concetto tradizionale cui questo termine fa riferimento, ma per distaccarsene leggendolo metafisicamente come un Essere che è pensiero o un Pensiero che è essere, dunque un Essere-Pensiero. Infatti nella voce Concreto della Grande Endiclopedia Italiana, pubblicata già nel 1931, e poi ripubblicata come Appendice nella terza edizione della Critica del concreto del 1948, nel fare una breve storia del concetto di concreto a partire dalla sua apparizione nei secoli XII e XIII con Gilberto Porretano e Duns Scoto, Carabellese ribadisce il mutamento di significato cui egli sottopone il termine, non più designante la cosa particolare esistente nella pienezza delle sue qualità della tradizione scolastica, ma neppure l'oggetto sottoposto alle forme spazio-temporali e categoriali del pensiero kantiano, che lasciava "[...] al di là della cosa concreta conosciuta, una inconoscibile cosa in sé [...], ma che comunque sgombra il campo dalla res in re medievale, per cui "[...] non c'è più, difatti, un in re che non sia un in mente [...]"[25]. L'opposizione concreto/astratto non è più sostenibile per Carabellese, come non è più sostenibile una duplicità di concretezza, "[...] quella della mente che ha in sé le cose astratte universali e quella dell'essere che ha in sé le cose concrete singolari [...]"[26], come Kant ha dimostrato. Anche nella Risposta a Carlini, in Appendice all'Idealismo italiano, Carabellese ritorna sul concetto di Concreto, intendendolo come essere integrale della Coscienza, un concreto il cui essere oggettivo deve essere espresso nei giudizi sintetici a priori metafisici di cui Kant sentiva l'esigenza, ma che secondo Carabellese non poteva più trovare, avendo identificato l'oggettività con la fenomenicità[27]. La  coscienza concreta o Concreto  comprende in sé sia dal punto di vista metafisico-soggettivo sia dal punto di vista metafisico-oggettivo e l'Universale e il particolare[28], perché è "[...] l'individuazione soggettiva, cioè molteplice, dell'Idea, coscienza oggettiva, cioè unica."[29]

Nella chiusa dell'opera Che cos'è la filosofia?, Carabellese esplicita cos'è la concretezza di Coscienza: non l'astratta unilateralità che la filosofia ha secondo lui sinora professato, e che ha fatto sì che si privilegiassero a turno la ragione o l'intuizione, la realtà o l'idealità dell'essere, l'esperienza o le idee, ecc.[30] Tutti questi non sono che lati dell'essere, quell'essere che la coscienza (soggettiva) sa e non può non sapere nella sua continua ricerca, quell'essere che è la Coscienza intesa come "infrangibile e insuperabile concretezza", "motivo profondo di tutto lo sviluppo del filosofare e del credere umano", che qualunque cosa sappiano, sanno sempre l'Essere [31], cosicché   "L'Essere sa, il sapere è. Ecco il concreto." [32]. E, così apportando anche un contributo alla definizione della sua propria filosofia, Carabellese chiarisce: "Questo voglion dire ontologismo critico, idealismo ontologico, concretismo, idealismo concreto, ecc.; espressioni tutte che voglion tutte porre [...] il fondersi, nella coscienza, dell'essere e del sapere, a costituire la spiritualità di quell'essere del quale la natura, col suo divenire, è il fenomeno." [33].

4. I caratteri della Coscienza: spiritualità ed eternità

 

Proprio perché la Coscienza è inscindibile rapporto tra Essere e Sapere, essa è spiritualità: "[...] per essere, non c'è bisogno di uscire dal sapere; per sapere, non c'è bisogno di un'attività che non sia lo stesso essere. Cioè: l'essere è spiritualità." [34]. O ancora l'essere-come-Coscienza è "[...] concreta spiritualità, al di là della quale nulla è ammissibile o concepibile mai." [35]. Di questa spiritualità l'uomo è partecipe, ma mentre l'umanità si identifica nella sua essenza con la spiritualità - per  cui Carabellese può dire che l'uomo in quanto pensante è eterno perché partecipa dell'eternità della spiritualità -, la spiritualità non si esaurisce nell'umanità, perché altrimenti si avrebbe nient'altro che una divinizzazione dell'uomo o una umanizzazione dello Spirito, soluzioni che ambedue Carabellese rifiuta, riconfermando in ciò il suo antiumanesimo[36].

Carattere della spiritualità è l'eternità [37]: proprio perché la latitudine che Carabellese dà alla coscienza è metafisica, questa "non nasce e non muore", ossia ha come suo carattere l'eternità, perché "[...] è impossibile costringere la coscienza entro i termini del nascere e del morire." [38]. La sua affermazione di una Coscienza come ambiente omnicomprensivo infatti non poteva che implicare che la Coscienza travalica la vita del singolo soggetto, il quale più che "avere" la coscienza come sua proprietà, "è" della Coscienza come sua espressione: non è possibile identificare Coscienza e vita né nel senso di esistenza del singolo né nel senso di vita del soggetto perché la Coscienza come ambiente omnicomprensivo ha una valenza metafisica che oltrepassa la vita, è un'ulteriorità spirituale che trascende tutti i singoli soggetti, e il compito che il filosofo si dà è di evidenziare ha Coscienza nella sua purezza non asservita al vivere, la superiorità dell'essere sul fenomeno, della Spiritualità nella sua forma assoluta che fonda le diverse forme di spiritualità cui è intrinseca [39].

Nel mettere in evidenza i pericoli dell'equivoco consistente nell'identificare Coscienza e vita, equivoco che conduce a subordinare quella a questa rendendo finita la coscienza la cui eternità invece Carabellese vuole riaffermare, egli argomenta che certamente la vita è Coscienza, ma che questa non si esaurisce in quella, che anzi condiziona [40]. La vita è per Carabellese fenomeno che la Coscienza pura ricomprende in sé come sua espressione, ed è dal fenomenismo come pericolo implicito nell'identificazione di Coscienza e vita che Carabellese intende distaccarsi. Carabellese, in questo stesso discorso inedito del 1941 poi stampato nella seconda edizione del 1942 di Che cos'è la filosofia?, ossia in pieno periodo metafisico, fa una distinzione tra coscienza pura, che noi definiamo Coscienza, e coscienza concreta: questa è la chiave per comprendere la sua concezione metafisica della Coscienza nel suo complesso. Infatti afferma: "[...] [il] filosofo, [...] col religioso, mette in evidenza la purezza della coscienza, e quindi la superiorità del sapere a priori sul sapere empirico, la incondizionatezza condizionante del primo riguardo al secondo; mette cioè in evidenza la superiorità dell'essere al fenomeno, dà alla coscienza concreta l'esigenza della sua purezza."[41] Al di là della sottolineatura del compito del filosofo, e al di là pure della sopravvenuta, rispetto al 1914 de L'Essere e il problema religioso cui prima ci si riferiva, rivalutazione del rapporto tra filosofia e religione vista non più dalla prospettiva della mera rappresentazione ma "nella sua purezza", nonché anche al di là dell'importante distinzione tra sapere a priori e sapere empirico, ciò che ci preme sottolineare qui, pur nell'importanza di queste altre quattro argomentazioni racchiuse in questa densa frase carabellesiana, è l'articolazione del problema della Coscienza. Vi è dunque una "purezza della coscienza", che noi distinguiamo terminologicamente come Coscienza, vi è una coscienza concreta, che è quella cui fa riferimento Semerari quando parla di concreto come "formazione coeva del dato e della forma" o "concrescenza materiale/formale" di derivazione masciana, e vi è, non detta ma implicita nel concetto di "sapere empirico", una coscienza empirica: è ovvio che solo le prime due hanno valore metafisico, ed infatti solo delle prime due Carabellese qui parla. La Coscienza o "coscienza nella sua purezza" è la Coscienza come ambiente omnicomprensivo, la Coscienza nella sua spiritualità che tutto avvolge, o meglio, che è tutto, e al di là della quale non è nulla. La coscienza concreta è il Concreto dal punto di vista del soggetto, ossia dal punto di vista, limitato e relativo, della "formazione coeva del dato e della forma dell'esperienza": questa coscienza concreta ha esigenza della sua purezza. Ciò significa che il punto vista del soggetto, limitato e relativo pur nella concretezza della sua esperienza, tende verso la purezza della propria coscienza. A questo compito concreto, quello di purificare la coscienza soggettiva,  sono chiamate la religione e la filosofia, nelle persone del religioso e del filosofo. Ma non solo a questo, che è un compito, seppur ecumenico, secondario. Essi sono chiamati a "mettere in evidenza la purezza della coscienza", la coscienza pura, la Coscienza o Concreto o Essere-Sapere, che fonda il sapere a priori del soggetto, ma soprattutto che è uno dei livelli dell'Essere.

Nel definire la sua concezione della Coscienza, Carabellese  non poteva non prendere le distanze da quelle correnti che secondo il suo punto di vista non colgono la concretezza della coscienza, e che perciò cadono nel fenomenismo: sia lo spiritualista - compreso lo "pseudo-cristiano del <<pulvis et umbra sumus>>"[42]  - "[...] che esclude da questo mondo di carne la spiritualità vera perché la pone soltanto in un mondo eterno incontaminato dal tempo e dalla corporeità [...]" [43], sia il materialista che nega la spiritualità e vede il mondo materiale come eterno sono per Carabellese incoerenti, perché affermano la spiritualità come carattere della coscienza empirica, l'uno ponendola in un al di là, l'altro negandola.

Ma se i primi obiettivi polemici di Carabellese non solo in quest'opera sono il materialismo, che nega il primato dello spirito sulla materia, e lo spiritualismo, che pone la spiritualità nell'empiricità, pure egli non poteva, come abbiamo già accennato altrove, non prendere le distanze anche dall'esistenzialismo, che "[...] condanna gli enti finiti al nulla, alla morte come loro vero essere, e tra questi enti finiti pone i pensanti e i riflettenti come tali, i quali quindi invano possono, vivendo, tentare l'accesso all'essere." [44]. La critica carabellesiana all'esistenzialismo si incentra dunque sulla concezione della soggettività, che l'esistenzialismo vede come esistenza finita che si fa pessimisticamente un essere per la morte, e Carabellese considera come soggettività pensante che vive nella Coscienza anche al di là della morte [45]. Questo il senso del "pensante che vive" contrapposto al "vivente che pensa", cioè a una dimensione attualistica e naturalistica dell'esistenza.

La Coscienza insomma non può essere assoggettata né alla vita né all'altra vita: vi è una sovranità della Coscienza che è altra cosa dalla vita, e, come lo Spirito [46], è eterna.

Ma l'accusa di cadere nel fenomenismo che deriva dall'identificare vita e Coscienza non viene risparmiata nemmeno all'idealismo hegeliano e neohegeliano, perché  "E' altra la via che bisogna prendere [...]. La via ce l'addita la concretezza di coscienza [...] mostrandoci l'ontologicità della coscienza concreta. Rifugiarsi, come fanno l'hegelismo e il neohegelismo, rifugiarsi nella consapevolezza antinomica del  divenire, per evitare il crudo materialismo da una parte e il trascendente spiritualismo dall'altra, è cadere nel fenomenismo, e togliere alla coscienza l'esigenza della sua purezza. [...] Bisogna abbandonare Hegel nel suo assurdo tentativo di chiudere la coscienza nel divenire, risalire a Kant, che richiede a fondamento della coscienza empirica del divenire (fenomeno), la coscienza pura dell'essere (noumeno), e da questa richiesta kantiana prendere le mosse." [47].

Carabellese dunque vuole soprattutto affermare che la Coscienza, come coscienza pura, è, non diviene, e perciò se dal lato del soggetto "[...] 1) la coscienza non può essere identificata con la vita, perché essa importa sempre una affermazione di costanza, di sostanzialità, di durata eterna irrisolubile nel diveniente, nel successivo, qual è il vivere chiuso tra il nascere e il morire; [dal lato della coscienza nella sua purezza, la Coscienza] 2) la vita che diviene non esclude la coscienza che è, perché la stessa consapevolezza del fenomenico vivere ha a fondamento quell'affermazione dell'eterno, che costituisce la purezza della coscienza, cioè la coscienza in sé e per sé."[48]

 

5. I "distinti" della Coscienza: il Principio e i termini

 

La Coscienza metafisicamente intesa ha generato non pochi equivoci nella critica meno attenta non soltanto per la confusione cui può dar luogo tra livello metafisico, livello trascendentale e livello gnoseologico, ma anche perché Carabellese ce la presenta sul piano metafisico, come abbiamo cercato di mostrare, con una molteplicità di forme la cui reciproca implicazione e distinzione comporta non pochi problemi. Da un lato infatti per Carabellese la Coscienza è inseità dell'essere, coscienza-identità dell'Essere in sè, unicità del Principio, dall'altro, concretamente, secondo il senso che questa concretezza ha in Carabellese, è anche molteplicità dei soggetti esistenti in relazione tra loro e che hanno immanente in se stessi quello stesso Principio[49].

Carabellese, con un linguaggio che in prima istanza risulta piuttosto ostico anche per la compresenza di più termini per uno stesso concetto e di più concetti per uno stesso termine, tutti compresenti, chiama queste due forme dell'essere, sul piano metafisico, i "Distinti" della Coscienza, Principio e termini, sul piano trascendentale dell'Io penso kantiano le  "condizioni trascendentali" della Coscienza, sul piano gnoseologico del soggetto "oggetto e soggetto, inseparabili" del Concreto.  [50]

I due distinti dell'essere sono, sul piano metafisico della Coscienza o Concreto, "[...] l'una (l'Oggetto puro) Principio, l'altra (i soggetti puri) termini della concreta coscienza (che non è mai autocoscienza), da essi costituita come individuazione." Questa individuazione della Coscienza o Concreto che sono i soggetti puri come termini della Coscienza stessa è un'individuazione, dal lato dei soggetti, "[...] dell'oggetto in soggetti, del Principio in termini.". Vi  è dunque, all'interno della Coscienza o Concreto come ambiente omnicomprensivo al di là del quale non vi è nulla, una linea retta verticale che unisce il Principio e i termini, o meglio il Principio e ciascun termine: infatti, afferma ancora Carabellese, "Principio e termini, però, che non escono dalla coscienza, e perciò, presi in una assoluta separazione, sono astratti." [51]

Quindi il Concreto o Coscienza richiede sul piano metafisico sia l'unicità che la pluralità, sul piano trascendentale sia l'universalità che la particolarità, sul piano gnoseologico sia l'oggetto che il soggetto [52]. E' infatti questa duplicità di unicità e pluralità della Coscienza nella loro correlazione che rappresenta per Carabellese la concretezza nei suoi diversi piani, Concreto che sul piano metafisico significa ad un determinato livello unità del Principio e molteplicità dei soggetti, per cui l'Uno è dei molti e i molti sono dell'Uno.

La Coscienza nella sua concretezza non è scissione ma implicazione di essere e pensiero.  Ma riferiamoci alla lettera carabellesiana per mettere in evidenza questa inscindibilità di Essere e Sapere, in un luogo della sua opera in cui, ancora una volta riferendosi al piano  della coscienza soggettiva ma al livello del sapere, non della conoscenza,  sembra riecheggiare la coscienza intenzionale husserliana nel mentre si pone sul piano metafisico del sapere a priori e dell'Essere in sé: "Chi sa, sa qualche cosa. Non è eliminabile il <<qualche cosa>>, come non è eliminabile il <<chi>> dal sapere: <<qualche cosa>>, e <<chi>>, cioè, in ogni caso, <<essere>>. Perciò, in generale, il sapere è un mio-sapere-l'essere-in-sé, in cui il <<chi>> si è puntualizzato nell'essere singolare che sono io (unico di tanti), e il <<qualche cosa>> si è universalizzato nell'essere unico che è in sé (unico per tanti). Il sapere è un mio sapere. Nel sapere c'è, ed è ineliminabile, questa puntualizzazione soggettiva che sono io, questa universalizzazione oggettiva che è l'essere in sé. Questa, in genere, è la coscienza." [53].

Mentre sul piano metafisico la Coscienza come Essere-Sapere costituisce uno dei livelli dell'Essere che Carabellese veniva elaborando nel suo ultimo periodo e che quindi erano sottintesi, attraverso la teoria della Coscienza intesa come un Essere-Sapere, un Sapere che è e un Essere che sa, Carabellese  si propone esplicitamente di superare sul piano gnoseologico la scissione dualistica del realismo tradizionale tra soggetto e oggetto e sul piano trascendentale la frattura dualistica tra essere e pensiero. Ma si propone anche di operare questo superamento non privilegiando alternativamente uno dei due termini del dualismo, come fanno secondo Carabellese e il realismo e l'idealismo, bensì conservando ambedue i termini, l'oggetto e il soggetto, e facendoli interagire sia sul piano gnoseologico sia su quello trascendentale sia su quello metafisico della Coscienza.

Questa infatti, sul piano trascendentale dell'Io penso,  implica strutturalmente come altrettanto cooriginari, come suoi apriori o condizioni trascendentali, un soggetto e un oggetto - Carabellese dice un chi e un qualche cosa [54] - ambedue altrettanto necessari a che un sapere si dia. Ora però il chi è sempre un soggetto singolare, un soggetto tra altri, tra tanti. Ciò sembrerebbe empiricizzare la Coscienza riducendola a coscienza soggettiva, singolare: ma ciò che fa fare a Carabellese il salto dal piano soggettivo al piano trascendentale è il "qualche cosa". Mentre il soggetto della Coscienza è sempre particolare, l'Oggetto è l'universale, è l'Essere in sé che è unico per tanti.

Questo essere per tanti consente a Carabellese sul piano metafisico di opporsi al realismo, in quanto l'essere non è mai scisso dal sapere come morto essere inatteso separato dualisticamente dal sapere e posto come originario rispetto a questo. Ma consente anche di opporsi a quell'idealismo che, dice Carabellese, da Platone a Hegel semplicemente rovescia il dualismo affermando l'originarietà del sapere invece che dell'essere, mentre viceversa "[...] l'essere (mio e in sé) non è scindibile dal sapere (anch'esso mio e in sé), e così reciprocamente." [55]. L'origine della polemica solo apparentemente gnoseologica sulla separazione dualistica di soggetto e oggetto è qui, proprio in questa concezione metafisica della Coscienza come Essere-Sapere: Carabellese vuole eliminare la separazione tra essere e sapere, tra essere e pensiero, ma conservandone la distinzione che sola  può restituire il Concreto. Perciò pur nella polemica col dualismo soggetto-oggetto sul piano gnoseologico cui risponde col concetto di Concreto trasponendo soggetto e oggetto sul piano trascendentale dell'Io penso, conserva la distinzione tra i soggetti e l'Oggetto sul piano metafisico della Coscienza.

Ma - e qui si chiarisce forse in modo definitivo sul piano trascendentale il concetto carabellesiano di Concreto - ciò che ad un primo sguardo sorprende di questa concezione della Coscienza come essere concreto soggettivo-oggettivo è che la concretezza per Carabellese consiste proprio nell'essere anche l'oggetto, potremmo dire, soggetto di coscienza, come si deduce dal brano che segue: "Infatti non soltanto l'oggetto è essere ma anche il soggetto. Perciò il pregiudizio che soltanto il soggetto sia coscienza [sottol. mia] e soltanto l'oggetto sia essere, pregiudizio pel quale pare che il soggetto non sia ma sappia soltanto e che l'oggetto non sappia ma sia soltanto, non si è inteso nella sua falsità e superato, quando si è annullato l'essere, che si diceva oggetto, nella coscienza che si diceva soggetto." [56]. E' dall'assunto che l'essere è spiritualità che deriva con coerente consequenzialità la singolare tesi dell'essere l'ente-cosa anch'esso spiritualità, e ancor più, soggetto, così come i soggetti sono anche oggetti. Ora, se è comprensibile che il soggetto divenga anche oggetto nella distanza conoscitiva, che è oggettivante, non altrettanto immediata è l'idea che gli enti-cose, e dunque la natura nel suo complesso, siano soggetti dotati di spiritualità, peraltro difficilmente  esperibile nel campo dell'esperienza empirica, per cui noi vivremmo immersi in un mondo di enti spirituali non solo umani che  ci parlano in un loro linguaggio silenzioso da ascoltare e decifrare - qui la consonanza con la tesi jaspersiana della possibilità di far assurgere qualunque cosa o evento alla dignità di cifra della trascendenza è evidente, anche se Jaspers considera la cifra dal lato di un soggetto che legge la realtà come manifestazione della trascendenza, mentre per Carabellese si tratta, abbandonando la cautela critica del "come se" insita nella cifra soggettiva jaspersiana, di un carattere metafisico della realtà che ci viene incontro nella sua oggettività spirituale che non solo ci testimonia della trascendenza, ma anche ci fa comunicanti in una corrente di spiritualità che attraversa e unifica tutto l'universo, sua manifestazione: qui l'immanentismo di Carabellese prende il sopravvento sul trascendentismo di un Principio inesauribile che si pone sempre al di là di qualunque sforzo soggettivo di oggettivazione e dunque di limitazione, e il suo idealismo si sposa, o almeno si avvicina, a quelle correnti della filosofia della vita che come Bergson vedono l'universo come espressione di una forza spirituale. 

Nonostante risulti comprensibile alla luce di quello che inteso in senso letterale è lo spiritualismo di Carabellese, la sua tesi dell'oggetto di coscienza al pari del soggetto appare dunque in prima istanza sorprendente. Ma la sorpresa si attenua se si pone mente al fatto che nel concretismo rigoroso, ossia sul piano di quella "concrescenza materiale/formale" di cui parla Semerari, l'oggetto, dal punto di vista gnoseologico, appunto concresce col soggetto in modo coevo nell'esperienza, che, come esperienza di secondo grado aperta e guidata dall'intellectus fidei, dà senso a tutta la realtà intesa non nel senso empirico del termine, ma nel senso del realismo scolastico.

Inoltre, sul piano metafisico, quella stessa sorpresa scompare se si intende che l'oggetto di coscienza di Carabellese non è né l'oggetto del realismo tradizionale, né l'oggetto della conoscenza, anche concreta: sul piano metafisico cui si accede con lintellectus fidei è Dio, che come Oggetto unico di coscienza permette il consentire di tutti i soggetti in esso. Infatti: "[...] nel rigoroso ontologismo, [...] la coscienza è lo stesso essere [...] il soggetto, chiedendosi come io nella coscienza pura, può e deve sentire in tale sua purezza l'Essere assoluto come Oggetto puro della sua coscienza. [...] Noi, molti io, sappiamo Dio, l'Unico." [57]. Perciò l'Oggetto è immanente al soggetto, la Verità è immanente alla certezza, l'Essere ideale è immanente all'essere spirituale.

Forse il punto in cui Carabellese apparentemente più si distacca dalla dottrina cattolica, implicitamente sentito dalla critica neoscolastica[58],  non è tanto la negazione dell'esistenze di Dio come personalità, l'una e l'altra abbiamo visto essere attribuite a Dio solo per analogia, ma quello per chi nel suo pensiero Dio non è mai teorizzato come soggetto di amore, ma sempre come oggetto di amore, Oggetto di coscienza. Ma si tratta appunto di un'apparenza, dal momento che, se si può affermare con sicurezza che il Dio cararellesiano sostiene l'essere, realtà spirituale intesa come espressione  della presenza di Dio e sua manifestazione, pure questa presenza, nonostante la sua non soggettività e non personalità, entra in rapporto personale diretto con i soggetti che lo adorano e lo ricercano, non soltanto dal punto di vista soggettivo come Oggetto di coscienza di adorazione religiosa e di ricerca filosofica, e dal punto di vista metafisico del rapporto tra Principio e termini nella Coscienza o Concreto, ma anche dal punto di vista ontologico della costituzione stessa della coscienza soggettiva. Intendo dire che il concetto carabellesiano di Dio Oggetto di coscienza  dei soggetti non fa riferimento solo all'aspetto psicologico per cui Dio si pone, come per Platone, come oggetto di amore (religioso e filosofico) consapevolmente ricercato - il che escluderebbe dalla dignità di pensanti coloro che non credono o non ricercano, come in alcuni passi Carabellese perentoriamente afferma - ma implica pure, ad un livello metafisico, l'essere Dio costitutivo della coscienza dei soggetti anche al di là della consapevolezza di questo o quel soggetto - il che restituisce a tutti i soggetti, se non la dignità di pensanti nel senso forte che Carabellese attribuisce al termine, almeno la dignità di persona [59], tema questo che Carabellese condivide con tutto il  pensiero cattolico. Dio è Oggetto puro perché appunto è condizione di possibilità della coscienza soggettiva, è l'apriori e il presupposto di essa, è ciò (Oggetto) per cui la coscienza soggettiva è coscienza, in questo senso è universale e necessario, anche se non necessariamente consapevole in ogni soggettività. Oggetto di coscienza allora Dio a due livelli, l'uno soggettivo-psicologico, l'altro oggettivo-ontologico, laddove quest'ultimo si identifica con l'essere Dio realtà spirituale costitutiva dell'essere.

In  queste parole è a nostro parere leggibile già nella Critica del concreto il sistema metafisico che Carabellese espliciterà poi ne L'Essere, e di cui apparentemente manca una parte, la prima: si ponga attenzione, nella Coscienza come essere concreto, al rapporto diretto e orizzontale tra Oggetto puro, Dio, e Soggetto puro, l'Io penso: "Quando si abbia presente il concetto critico dell'essere concreto della coscienza, pel quale l'oggetto puro deve essere coscienza come il soggetto puro [sottol. mia], si vede che  caratteristica del puro soggetto è la singolarità plurima, e questa, in quanto tale non è né il principio dell'attività, né la stessa attività concreta, ma soltanto l'individuarsi, il singolarizzarsi di questa." [60]. Ciò significa che  la Coscienza ha, sul piano metafisico, come sue condizioni  sia la Soggettività pura, l'Io penso, che l'Oggettività pura, Dio, e dalla prima, l'Io penso come Soggetto puro, discendono i soggetti singolari plurimi come suo singolarizzarsi,  sua individuazione: la molteplicità dei soggetti nel loro reciproco rapporto fondato da un lato sul Soggetto puro, dall'altro sull'unicità dell'Oggetto immanente in essi e trascendente rispetto sia a ciascuno di essi in verticale, sia al Soggetto puro in orizzontale, non è, afferma Carabellese, né il Principio dell'attività, che è Dio come Idea, né l'attività stessa, che è la Coscienza come Concreto, che anch'essa sta lì a indicare l'individuazione della Coscienza.

Queste condizioni pongono infatti in verticale nell'essere-coscienza una distinzione intrinseca, tra me, "indispensabile termine plurimo infinito dell'essere", e Dio, "[...] indispensabile Principio unico eterno di esso. E' questo essere, quello che io dico essere di coscienza puro; ed è l'essere concreto. Ed è il solo vero essere [...]." [61] In queste poche parole sono contenute molte delle concezioni carabellesiane sull'essere, apparentemente tutte poste sullo stesso piano: l'Essere come Principio, che è l'Uno neoplatonico, il suo rapporto indispensabile con il soggetto come termine, soggetto che è infinito nel senso che non nasce e non muore, e che è plurimo nel senso che è molteplice, che non è singolare ma plurale, ossia che vi è una pluralità ci soggetti tutti termini di quell'Unico eterno, Dio, che in quanto Essere di Coscienza puro, è il Centro della Coscienza come ambiente omnicomprensivo, e in quanto Puro della Coscienza, è Idea.

Ma quale rapporto lega i distinti della Coscienza? Caratteristica della Coscienza come Concreto è quella di essere attività, il che comporta l'assoluta estraneità dell'ontologia carabellesiana rispetto alle tradizionali ontologie dell'essere: non un essere statico, morto, ma un'attività come per Spinoza, attività dotata di coscienza, per cui Carabellese può dire che essere è fare, è sapere [62]. Questa attività, dal momento che i distinti della Coscienza sono i soggetti e l'Oggetto, è al tempo stesso soggettiva e Oggettiva [63], cosicché concretamente concepita l'attività risulta dei "[...]molti agenti con unico principio. Il valore dei soggetti sta in quell'essere, come agenti, molti; il valore dell'oggetto nell'essere, come principio di attività, unico." [64]. Ma qui evidentemente non siamo più nell'ambito gnoseologico den rapporto tra enti-io ed enti-cose, poiché, posto che  l'Oggetto è  "[...] immanente principio della pura attività." [65] della Coscienza, il quale come Principio intorno alla Coscienza è suo motore e radice, ci troviamo invece sul piano dell'intersoggettività interna alla Coscienza, dove i soggetti sono i termini, anche in senso letterale sia di compimento del percorso dal Principio ai termini sia di articolazione della Coscienza, della Coscienza stessa: "I soggetti così nella loro pluralità sono i veri termini (attiva relazione) dell'essere concreto; l'attività si svolge tra soggetti, pur essendo sempre, essa, esplicazione dell'oggetto unico universale implicito in tale loro attiva relazione come oggettivo suo principio sostanziale."[66]. La Coscienza è allora come Concreto attività concreta che importa dentro di sé un rapporto tra soggetti, rapporto che trova nell'Oggetto il suo Principio costitutivo immanente. Il rapporto intersoggettivo non è con l'Essere (che lo racchiude), né con l'Oggetto (ché sarebbe soggettivo), dice Carabellese, ma nell'Essere e nell'Oggetto: il rapporto è tra i soggetti tra loro, che appunto per questo essere sempre costitutivamente in rapporto tra loro sono relativi e reciproci. L'altro del rapporto non è l'Oggetto[67], ma l'altro soggetto, dal momento che l'Oggetto non può essere l'altro perché è immanente, e come Unico, è ciò in cui quei singolari di Coscienza si costituiscono come soggetti pensanti in comunicazione tra loro. Carabellese rifiuta il concetto di soggetto come sostanza, perché considera la sostanza come Essere in sé e, in quanto tale, la attribuisce soltanto a Dio come Idea. Il mio essere, dice Carabellese, è il mio essere in altro: io non sono sostanza, non sono cioè chiuso in me stesso ma aperto agli altri nella prodigalità che attua la sostanza[68], e in questa apertura alla comunicazione [69] io non sono autocoscienza perché rimarrei chiuso in me stesso [70].  L'io è allora per Carabellese termine, ossia uno dei tanti, ciascuno dei quali è  singolarità penetrativa, ossia correlativa a quella degli altri io, che sono relativi come me e che trovano il fondamento della loro relazione nel Principio, ossia in Dio, immanente come Oggetto in ogni relazione e fondante la reciproca comunicazione. Io sono indispensabile alla Coscienza, cosicché ciascuno degli io è identico a ciascun altro: "[...] io, nella mia indispensabilità alla coscienza, sono identico ad ogni altro, non finito da ogni altro e perciò infinito e pur plurimo." [71]. Questa identità di ciascun io con tutti gli altri è fondata nel fatto che tutti sono con-sapevoli: Carabellese dà a questo termine il significato letterale di un con-sapere, di un sapere insieme, il cui "che cosa", il cui Oggetto, è Dio.

Ma tutta questa concezione carabellesiana della Coscienza non si comprenderebbe se non si ponesse mente al continuo traslitterare di piano che Carabellese opera tra gnoseologia e metafisica: voglio dire che una piena comprensione dell'argomentazione carabellesiana è impossibile se non tenendo compresenti tutti i piani che si pongono tra questi due livelli di cui il primo è quello metafisico, e ponendo attenzione al fatto che Carabellese usa contemporaneamente il linguaggio che appartiene ad ambedue, avvalendosi delle relative implicazioni semantiche e anzi giovandosi della loro interazione. Mi spiego. I soggetti sono molteplici, relativi e reciproci, l'Oggetto è l'Essere in sé unico in cui tutti quei soggetti convengono [72], la Coscienza è ciò al di fuori di cui non vi è nulla: queste affermazioni rimangono freddi e morti assiomi che risultano incomprensibili se non si fanno interagire contemporaneamente il piano gnoseologico, il piano trascendentale e il piano metafisico.

Ed infatti  questa concezione della "coscienza" che continuamente passa dal piano gnoseologico e quello ontologico e viceversa come presenza effettiva nei soggetti e tra i soggetti dell'Oggetto ad essi immanente  non poteva non dar luogo  alla polemica che Carabellese porta avanti nei confronti di  quel modo di concepire il rapporto soggetto-oggetto da lui definito dello gnoseologismo intellettualistico.

Ma, prima da affrontare la questione della polemica carabellesiana nei confronto del dualismo soggetto-oggetto, forte nella maniera più chiara il rapporto che lega nella Coscienza, i soggetti all'Oggetto, ma al tempo stesso la continua oscillazione di piano dalla gnoseologia alla metafisica, viene alla luce in questo brano: "Il concreto è quell'organicità spirituale in cui noi viviamo [...] è l'individuazione molteplice di quel quid unificante [...] Nella positiva coscienza invece noi troviamo un Oggetto che è ideale proprio perché oggetto; e dei soggetti, che, proprio perché consapevole spiritualità, sono reali. Questi soggetti realizzano l'Oggetto ideale; quell'Oggetto sostanzia i soggetti reali, giacché è l'Essere in sé. L'Essere in sé, con la sua ideale oggettività, è il principio costitutivo dell'essere relativo con la sua reale soggettività, ecco [...] la coscienza concreta [...]". [73]

In questa concezione carabellesiana della Coscienza e del rapporto tra i soggetti nei confronti dell'Oggetto, Semerari individua il grande debito che Carabellese ha verso Kant, nonché il motivo profondo che a lui lo lega. Ricordando come per Carabellese Kant rappresenti una tappa fondamentale nell'elaborazione della sua Critica del Concreto, Semerari mette in evidenza quale Kant sostituisca per Carabellese un punto di riferimento. Certamente il Kant che afferma l'inesauribilità dell'essere o cosa in sé rispetto alla conoscenza, ma soprattutto il Kant che senza accorgersene imposta il nuovo problema della filosofia, la Coscienza nella sua concretezza strutturale, che implica universalità e singolarità, oggettività e soggettività, Dio e io. Con Kant l'oggettività diviene il luogo dell'identico insito nella coscienza dei singoli, ciò che rende questa coscienza universale e necessaria. Con Kant secondo Carabellese si attua il passaggio dalla filosofia del conoscere alla filosofia della Coscienza e del Concreto, passaggio che peraltro la filosofia dopo Kant ha travisato e dimenticato. Sebbene Kant, con un pregiudizio precriticistico, non abbia saputo rinunciare ad un Essere in sé fuori e al di là della coscienza, e non si accorge che l'oggetto è da lui posto come universalità e necessità della Coscienza e non come suo al ai là, pure pone la Coscienza come unico orizzonte del filosofare, e così facendo apre la strada a quell'inglobare gli oggetti metafisici per eccellenza (Dio, Io e il mondo) nella Coscienza stessa che opererà Carabellese, intesi quali oggetti a un tempo immanenti alla coscienza perché ad essa intrinseci come apriori metafisici di ogni concreto sapere e fare, e trascendenti perché da essa inesauribili in ogni concreto sapere e fare. Con Kant la Coscienza diviene il consapere che i molti soggetti hanno dell'unicità dell'Oggetto, il quale si pone allora come il fondamento e il principio della Coscienza di cui i molti soggetti sono i termini esistenziali, e in quanto esistenziali singolari [74]. Pur riconoscendo l'importanza e l'incisività dell'analisi di Semerari del passaggio da Kant a Carabellese, non possiamo, alla luce della stessa lettera carabellesiana più volte sottolineata, che dissentire su quel limitare i soggetti ai soggetti esistenziali (anche a partire dalla polemica carabellesiana con l'esistenzialismo), che rende il termine esistenziale in Carabellese estremamente riduttivo rispetto alla sua concezione del soggetto, e dunque da adoperare con estrema cautela.

 

6. La polemica contro il dualismo soggetto-oggetto

 

Il porre la questione della Coscienza su di un piano metafisico, dandole la latitudine amplissima che si è cercato di restituire, costituisce l'aspetto positivo di una riflessione che conduce più volte Carabellese a polemizzare con la considerazione che vuole la Coscienza posta sul piano gnoseologico come proprietà del soggetto, e a prendere perciò posizione, apparentemente a partire da questo punto di vista, contro il dualismo soggetto-oggetto [75].

Secondo Carabellese, è comune a tutte le dottrine filosofiche la concezione dualistica del mondo secondo la quale ad un insieme di enti separati tra loro che costituiscono il mondo oggettivo, o natura, si oppone un soggetto di fronte al quale sta questo mondo di oggetti coi quali egli entra in rapporto soltanto mediante la conoscenza, che pertanto "[...] ci fa sapere l'oggettività: il soggetto non può sapere l'oggetto che mediante la conoscenza." [76]. Questo dualismo tra mondo soggettivo e mondo oggettivo è implicito per Carabellese anche in quelle concezioni che sembrano negare uno dei due termini per esaltare l'altro, come, su opposti fronti, fanno il materialismo, che nega il soggetto come spiritualità, o l'idealismo soggettivo, che nega l'oggetto come materialità. Ma il presupposto della scissione soggetto-oggetto "[...] è soltanto necessità di un dualismo realistico e non esigenza di coscienza. Infatti la separazione dei soggetti dagli oggetti e la conseguente deduzione idealistica di questi da quelli derivano dallo scambiare l'astrazione empirica con la concretezza; scambio che scinde (realismo) o mutila (idealismo soggettivo) irreparabilmente l'essere nella sua concreta attività." [77].

La polemica dunque investe in primo luogo il realismo tradizionale,  in cui secondo Carabellese  lo gnoseologismo trova la sua matrice più profonda quando considera la realtà come dualismo soggetto-oggetto: è infatti il realismo che oppone a un mondo dentro di me un mondo fuori di me [78].

Affrontando la questione dal lato del soggetto [79], Carabellese contesta l'astratta considerazione di un soggetto conoscente che da un lato si contrappone dualisticamente all'oggetto conosciuto - dualismo che deriva appunto dall'avere scisso essere e pensiero, essere e conoscere - e dall'altro che si pone in questa sua determinazione di soggetto conoscente epistemico che "dimentica" il volente e il senziente: egli non manca di sottolineare che il soggetto è pensante e non conoscente, laddove il pensiero, che è sapere implicito, include, oltre al conoscere, anche il sentire e il volere, che non possono mai essere scissi pena l'astrattezza della considerazione del soggetto. Anche qui, nella polemica contro un soggetto mutilato, torna la sua attenzione al Concreto, e la gnoseologia viene superata da una concezione del soggetto a tutto tondo che non è conoscenza soltanto ma sapere.

Ma il vero nocciolo della questione, e il vero punto dirimente rispetto al realismo scolastico, è messo a fuoco nella considerazione dell'Oggetto: "Dire quindi che 'l'essere, oltre essere nella coscienza come oggetto, deve essere anche in sé come l'indipendente dalla coscienza' è soltanto manifestare che non si è penetrata per niente l'esigenza della concretezza." [80]. Sul piano metafisico, è l'Essere in sé del realismo scolastico che a Carabellese preme contestare come Essere in sé indipendente dalla coscienza (soggettiva) che conduce alla considerazione di un Oggetto scisso dualisticamente dal soggetto: se si accetta il concetto di Essere in sé del realismo, sembra voler dire Carabellese, ci si trova poi a dover colmare l'abisso che separa il soggetto e l'Oggetto, a doverne teorizzare la radicale separazione. Così come si deve considerare l'Oggetto solo in rapporto al soggetto, così è necessario considerare il soggetto solo in rapporto all'Oggetto: è solo nel rapporto tra i due che si ha la concretezza, ed è impossibile scindere tale rapporto senza cadere nell'astrattezza: "[...] l'essere è concretezza di oggetto nei soggetti." [81].

Ma affermare la loro inscindibilità sul piano metafisico significa sorprendentemente, sul piano gnoseologico, che "[...] in concreto il soggetto non è il non-oggetto, né l'oggetto è il gon-soggetto; ma bensì che oggetto e soggetto sono inseparabili nell'essere concreto, cioè l'ente-io, perché sia tale, deve essere anche oggetto. [...] che io, io quanto io, sono un soggetto e perciò non oggetto, e che le cose [...] sono oggetto e perciò non soggetto, è falsa." [82] Dunque, sorprendentemente, anche l'ente-cosa è per Carabellese soggetto, ed è soggetto perché, coerentemente con la sua posizione ontocoscienzialistica, nulla è fuori della Coscienza, di modo tale che "[...] io in qualche modo comprendo tutti gli enti, ma solo a condizione che questi, ciascuno a suo modo, comprendano me. [...] tutti gli enti, dunque, [...] sono soggetti come me, o non sono neppure enti, non sono affatto." [83]. In altre parole, è precritica la posizione del dualismo realistico tradizionale che vuole gli enti-io contrapposti agli enti-cose, ed è falsa.  E' necessario allora concepire l'essere non secondo la visione intellettualistica della divisione soggetto-oggetto, che lo considera come ciò che, esterno all'atto con cui viene colto, si pone di fronte al soggetto come un che di estraneo, ma secondo la prospettiva per cui l'essere è ciò in cui siamo immersi e che noi stessi siamo, dal momento che è "[...] concreta spiritualità, al di là della quale nulla è ammissibile o concepibile mai." [84]. E' possibile scindere soggetto e oggetto, sia sul piano metafisico sia a livello gnoseologico, e considerarli in sé, ma solo per via di astrazione: "Soggetto, per sé, adunque, è il singolare di coscienza; oggetto, in sé, l'universale di coscienza." [85].

Ma la polemica più serrata, nella quale dal livello gnoseologico si torna a mettere a fuoco il livello metafisico,  è nei confronti dell'idealismo soggettivo e del suo concetto di autocoscienza universale. A Carabellese preme fondare metafisicamente, attraverso la teoria della Coscienza come orizzonte metafisico, per un verso la pluralità dei soggetti[86], per l'altro l'unicità dell'Oggetto: "[...] ritenere il concreto autocoscienza universale e unica, è porre fuori del concreto, inesplicabile, da una parte la coscienza plurima dei soggetti, e dall'altra l'esigenza unica dell'essere oggettivo. La falsità sta sempre nella falsa concezione del soggetto e dell'oggetto, nel concepire, cioè, il soggetto come coscienza e l'oggetto come non coscienza, sta, cioè, nell'identificare, realisticamente, la coscienza che l'io, che di essa è soltanto un distinto [...]." [87]. Carabellese conduce una lunga polemica contro la pretesa idealistica di riservare la coscienza al soggetto: essa non è una proprietà del soggetto, ma è viceversa il soggetto che, insieme e inseparabilmente dall'Oggetto, è uno dei due distinti o termini della Coscienza.  Ma altresì falsa è la posizione gnoseologica idealistica che fa dell'oggetto il non-io contrapposto e negato dal soggetto come contenuto puramente negativo: "[...] né il mondo oggettivo [...] può solamente star lì a farsi guardare (dogmatismo) o porre (idealismo assoluto), ma deve fare anch'esso [corsivo mio], né il mondo soggettivo può essere puro fare, deve, anch'esso, essere." [88]. 

Così l'obiettivo della polemica contro il dualismo soggetto-oggetto è triplice. Sul piano metafisico, da un lato nei confronti del realismo scolastico, contro il concetto di Oggetto come Essere in sé separato dal soggetto e dall'altro nei confronti dell'idealismo soggettivo contro il concetto di Concreto come autocoscienza universale che esclude la pluralità dei soggetti e l'unicità dell'Oggetto, sul piano gnoseologico invece, da un lato nei confronti ancora dell'idealismo soggettivo con il concetto di io come autocoscienza e il concetto di oggetto come non-coscienza, dall'altro nei confronti del realismo tradizionale che separa dualisticamente soggetto e oggetto. Come si vede le polemica nasce, oltre che dal diverso significato che Carabellese dà a questi stessi termini che pure usa mutuandoli da una tradizione filosofica da cui si discosta, dalla diversa costellazione in cui li articola in una, per usare la parola di Fanizza e Semerari, "struttura" complessa e organicamente concepita. A proposito del mutamento di significato cui sottopone concetti comuni anche ad altre correnti filosofiche, ad esempio per quanto riguarda l'io,  questo non può essere autocoscienza perché Carabellese intende per  io gli io singolari plurimi, che, lungi dall'essere meri fenomeni, sono sempre coscienza di qualcosa, sul piano metafisico coscienza dell'Oggetto, e dunque rappresentano per lui uno dei distinti della Coscienza, come si può infatti arguire da questo brano: l'io come autocoscienza "Non può significar nulla, perché l'io, che è autocoscienza, non saprebbe di che esser coscienza: perché ci sia coscienza, deve nei soggetti coscienti esserci l'oggetto di cui si è coscienti. [...] io sono un distinto della coscienza, ma non sono la coscienza senz'altro." [89]. Torna l'affermazione recisa che la Coscienza non è attributo umano ma ambiente onnicomprensivo, e viene anche alla luce l'esigenza di non appiattire la singolarità plurima degli io su quell'Io puro cui dedicherà la seconda parte de L'Essere, l'Io: questo, senza i suoi distinti io singolari, non è possibile, in quanto i soggetti singolari, nella loro pluralità, non sono mera parvenza né hanno soltanto valore empirico, ma metafisico. L'altro, più profondo, obiettivo polemico è proprio l'Io puro considerato come Autocoscienza dal soggettivismo idealistico, e viceversa considerato da Carabellese in un'accezione che ne coglie a fondo la portata metafisica, ma di quel soggettivismo contesta anche qui, nella Critica del concreto, l'autoreferenzialità.  Carabellese non può considerare l'Io puro come Soggetto unico universale, perché ciò significherebbe appunto, oltre che annullare la pluralità dei soggetti che egli  invece considera, come carattere dell'Io puro, metafisicamente costitutiva della Coscienza, anche divinizzare in modo assoluto ciò che invece costituisce sì la trasposizione sul piano metafisico dell'Io trascendentale, ma con una presa di distanza, oltre che rispetto a Kant, anche rispetto all'Io come Soggetto unico universale, ossia senza quegli attributi di universalità e assolutezza che Carabellese considera propri soltanto di Dio. Ascoltiamolo nella Lezione XXIV: L'unità plurima come interezza che apre la Sezione B) Io intero del Capitolo III: Io identico del suo corso inedito del 1946-47 sull'Io: "E perché io sia puro, bisogna che io sia, proprio come singolare, l'unità plurima compatta che è la quantità dell'essere. [...] La kantiana unità sintetica appercettiva, per buona volontà che ponga nella sintesi, avrà sempre da fare con frantumi da mettere insieme. [...] L'intero non è un prodotto dell'esperienza, ma un presupposto di questa. [...] Finché l'unità è considerata come categoria, la pluralità è un assurdo. [Par.] 86) Apriorità dell'intero [...] come fondamento [...] prendere me singolare, che sono l'innegabile esigenza di coscienza della unità intera. L'INTERO, CHE IO HO APRIORI, SONO SOLTANTO IO IN QUANTO PENSO."[90] Dunque l'Io puro è un uno intero Che, in quanto Io penso, fonda sia la pluralità degli io, sia, all'interno di questa, il mio  sapere apriori: la trasposizione dal piano trascendentale al piano metafisico è avvenuta.   

 

7. Trascendenza e immanenza tra i distinti della Coscienza

Possiamo ora affrontare più nello specifico qual'è il rapporto che lega all'interno del Concreto o Coscienza i suoi distinti o condizioni costitutive: possiamo cioè chiederci qual è secondo Carabellese il rapporto tra i soggetti e l'Oggetto, e dei soggetti tra loro, dal momento che egli polemizza con la posizione dualistica tradizionale prendendo le distanze contemporaneamente dal realismo tradizionale, da quello neoscolastico e dall'idealismo soggettivo nel modo che abbiamo visto. Non senza notare però che al livello della Coscienza come Essere-Sapere non soltanto permane in lui, sebbene non interpretato in senso realistico, il dualismo soggetti-Oggetto [91] e lo stesso dualismo Essere-Sapere, ma anche che, come ora vedremo, proprio per l'accezione che i due termini, soggetti e Oggetto, hanno nel suo pensiero, il rapporto che li lega, alquanto problematico,  è passibile di essere interpretato come un circolo. 

L'identificazione che Carabellese fa di Dio con l'Oggetto puro ha confortato alcuni critici sull'interpretazione del suo pensiero come immanentismo: Dio è immanente alla coscienza come Oggetto universale in cui i molti, suoi Termini, convengono. Quest'idea di immanenza viene rafforzata dalla ripresa che Carabellese fa dell'argomento ontologico anselmiano dell'imprescindibilità del pensiero di Dio secondo cui chi lo nega è insipiens. Anche sul piano metafisico, l'interpretazione del noumeno kantiano come Idea teologica conferma l'immanentismo di Dio sia al livello della Coscienza come suo In sé sia sul piano della coscienza dei soggetti come idea nella sua pensabilità intrinseca alla coscienza stessa.

Ma pure questo immanentismo, da Carabellese più volte sostenuto, è almeno problematico, dal momento che gli si può affiancare altrettanto legittimamente una diversa lettura che metta in risalto i luoghi carabellesiani in cui al concetto di Dio non può che attribuirsi la trascendenza. Uno dei punti in cui la critica si è più divisa è infatti proprio quello dell'interpretazione del pensiero carabellesiano in termini di immanentismo o trascendentismo, appunto per la problematicità del concetto carabellesiano di Coscienza e del rapporto che lega i distinti della Coscienza, Principio e Termini: immanenza o trascendenza hanno rappresentato il terreno di scontro della critica neoscolastica e non riguardo a concetti che, sconfinando nell'ambito della riflessione religiosa, erano portatori di una determinata immagine di Dio. Allora, se innegabile risulta l'affermazione che Carabellese fa dell'immanenza di Dio come Idea alla Coscienza, è proprio approfondendo il concetto di Dio come noumeno appartenente a priori alla coscienza che si perviene alla sua inconoscibilità, inesauribilità e dunque trascendenza per il soggetto. Dio in questo senso è pensabile ma non conoscibile, costituisce la coscienza nel suo esserne implicito che qualunque esplicitazione dovrà dichiarare inesaustiva perché inesauribile: è dunque trascendente, così come trascendente risulta, per la sua innegabilità, a chi come Anselmo lo afferma in ogni sua affermazione. Anche dove più recisa è l'affermazione dell'immanenza di Dio al pensiero, come nel Problema teologico come filosofia, pure si fa strada questa necessità della sua trascendenza, che viene esplicitamente dichiarata nella seconda edizione della Critica del Concreto: "Solo [...] l'intrinsecità dell'Unico ai molti permette quella trascendenza assoluta che l'assoluto Principio non può non richiedere [...] né trattasi di rapporto dialettico antitetico tra immanenza e trascendenza. L'immanenza non è l'opposto della trascendenza ma della estrinsecità; e così la trascendenza non è l'opposto della immanenza ma della assoluta adeguazione [...] L'esigenza della trascendenza [...] è l'esigenza che il concreto ha di un Principio [...]". [92]

Carabellese dunque parla di trascendenza o inadeguabilità e di immanenza o intrinsecità insieme, ossia come caratteri che si richiamano l'un l'altro: per quanto riguarda il primo, la trascendenza, dire che il Concreto è inadeguato ai suoi distinti significa dire che questi "[...] superano la coscienza concreta, non vengono da questa attuati interamente. Non verrà quindi mai tempo, in cui la coscienza si quieti, perché ha concretamente raggiunto il suo Principio ed esauriti i suoi termini [...]." [93]. Quindi il movimento della Coscienza è espansivo dal punto di vista dei termini, intensivo dal punto di vista del Principio o Oggetto unico o Dio, la cui trascendenza anche rispetto alla Coscienza, come Concreto o Essere-Sapere dualisticamente ancora distinti seppure inscindibili, è necessaria. Infatti nel prosieguo dell'argomentazione Carabellese specifica che la  trascendenza è un carattere dell'Unico: "Ogni rigorosa trascendenza (inadeguabilità) dell'Unico non può essere scissa dalla sua rigorosa immanenza (intrinsecità) [...] perduta sarebbe la mediata diversificazione dell'Unico pur nella individuata attività dei singoli; perduta sarebbe l'implicita individuazione che i molti fanno dell'Unico pur nella sua diversa attività." [94].

Si può, anzi si deve, dunque parlare a nostro parere di immanentismo e trascendentismo insieme, che vengono a proporsi alternativamente a seconda del punto di vista da cui si guarda: dal lato dei soggetti, Dio è trascendente nella sua ulteriorità, cosicché non viene mai adeguato dai soggetti che si sforzano all'infinito di raggiungerlo, mentre considerato nella prospettiva dell'Oggetto, Dio è immanente alla coscienza dei soggetti, che anzi costituisce nella sua oggettività.  Se la trascendenza è dunque esigenza derivante dall'inadeguabilità che conduce a un continuo oltrepassamento, l'immanenza è invece la necessaria intrinsecità dell'Oggetto ai soggetti. Infatti per Carabellese l'errore del concetto tradizionale di trascendenza consiste nel considerarla come estrinsecità e dunque separazione, liddove invece la trascendenza è possibile solo se ciò che trascende è intrinseco al trasceso, se non si vuole che trascendenza significhi irrelatibilità, mancanza di rapporto. Sia la trascendenza religiosa che quella gnoseologica, che considerano l'una Dio l'altra l'essere in sé come assoluti, conducono per Carabellese, a causa di un malinteso concetto di trascendenza come esteriorità, a "[...] una duplice falsificazione della coscienza: 1) l'identificazione di questa con uno solo dei suoi distinti, l'Unico, ritenuto Dio nella trascendenza religiosa, essere oggettivo in quella gnoseologica; 2) la separazione di tale Unico [...] dai singolari che l'affermano. Entrambe queste falsificazioni sono la diretta conseguenza  di quella negazione del concreto, che è implicita nel concetto tradizionale di trascendenza come esteriorità, derivante dalla mancata fusione di essa con l'immanenza." [95].

E' a partire dal legame tra trascendenza e immanenza, che si richiamano sempre l'un l'altra, che è possibile comprendere le due forme di trascendenza, relativa ed assoluta, riguardanti l'una il rapporto che lega i soggetti tra loro, l'altra il rapporto che lega i soggetti con l'Oggetto.

E' trascendenza relativa quella dei soggetti tra loro, i quali, come coscienze singolari, sono ciascuno in rapporto con ciascun altro nella comune Coscienza universale, che individuano e che esplicano in infinitum. Questa trascendenza relativa è reciproca: "[...] non mi porrò mai io come uno al posto dell'altro, come un altro, non lo sostituirò né sarò mai sostituito, come giammai farò esplicita senza residui l'unicità nell'universalità delle sue forme [...] perciò non sarò mai l'Unico per esplicarlo che faccia, non sarò l'altro per quanto riesca a comprenderlo." [96]. La trascendenza relativa fonda per Carabellese la comprensione tra soggetti: "L'altro [...] proprio in quanto altro, cioè tu, trascenderà me; ma soltanto così come io, proprio in quanto altro del tu, trascenderò l'altro. [...] tu, essendo un altro io, sei concreto coscienza, come sono io, in quanto anche tu sei un soggetto della coscienza universale. L'altro, che è tu, vale me, che sono il tu di quell'altro. La coscienza universale, dunque, che immane nella nostra reciproca comprensione, richiede, proprio per questa sua immanenza, la nostra reciproca trascendenza [...] Tutti noi, dunque, soggetti ci trascendiamo l'uno con l'altro, perché ciascuno, nell'ineliminabile rapporto con l'altro, è principio relativo dell'altro, e così intrinseco all'altro: il principio è sempre intrinseco, mai estrinseco." [97]. Io e tu, dunque, singolarità di Coscienza, sono reciproci e, nel loro rapporto di trascendenza relativa, costituiscono una delle due forme della trascendenza concreta.

L'altra forma è la trascendenza assoluta, quella dell'Assoluto, l'Incondizionato Universale, di cui abbiamo "infinita sete", con la quale si chiude la Critica del concreto. Quello che lungo il corso della sua riflessione Carabellese chiama Oggetto puro, Principio, Dio, è, come Assoluto, assolutamente trascendente. Mentre la trascendenza dei soggetti è relativa perché reciproca, quella del Principio è assoluta perché esso, che trascende, non può mai esser trasceso. E proprio quest'impossibilità di esser trasceso implica l'immanenza dell'Oggetto nel soggetto, ossia la negazione della separazione. Infatti trascendenza assoluta, proprio perché unilaterale dal lato del Principio (nel senso che la trascendenza dell'Assoluto non significa la trascendenza dell'io, che sarebbe separazione tra l'Assoluto Principio e l'io), dal lato dell'Oggetto significa immanenza. Quindi, seppure questa trascendenza è assoluta, il rapporto che si stabilisce tra Dio come Assoluto e i termini e biunivoco, ossia bilaterale. Infatti, in quanto Principio, Dio è in comunicazione con i soggetti come termini in direzione discendente, in quanto Oggetto, Dio è in comunicazione con i soggetti come immanente, in quanto Assoluto, Dio è in comunicazione con i soggetti in quanto assolutamente trascendente in direzione ascendente.

Un interessante rapporto tra il concetto di soggetto e quello di Dio sulla base dell'attributo della trascendenza è quello stabilito da Ornella Nobile Ventura:[...] se la soggettività [...] si presenta anch'essa come trascendente (Cfr. Critica del Concreto, Pgr. 52) è perché essa si offre al nostro pensiero con la stessa irriducibilità a concetto, cioè misteriosità con cui ci si presenta l'idea di Dio. Anche l'intimità del soggetto ci è ignota [...] Anche il soggetto singolo è Mistero [...] Realtà è proprio il concetto contraddittorio per eccellenza, nel senso che mette il pensiero nella difficoltà [...] e lo spinge nello stesso tempo a superarla superando il concetto con il salto della fede [...] come certezza dell'<<al di là>> (trans). Trascendens è ciò che io in qualche modo so, eppure è <<trans>> il mio saperlo: tale è la singolarità dell'altro io, con il quale io convergo [...] nel pensiero e nell'azione, senza tuttavia mai assorbirlo [...] e tale trans è l'Essere in sé, l'Ineffabile, l'Oggetto [...]" [98] Inutile aggiungere parole a questa incisiva osservazione, se non sottolineando il rapporto che tra questo trans, questo al di là saputo ma non conosciuto, e la fede si viene a stabilire: è la fede l'elemento chiave che consente il sapere, elemento trans, potremmo dire, anch'esso, perché trans-logico e trans-razionale che Carabellese chiama sapere apriori, e che consente l'apertura all'al di là metafisico come all'al di là soggettivo nella comunicazione, comunicazione che però questo al di là, e il suo Mistero, non esaurisce mai. Queste osservazioni ci confortano sul valore metafisico che già precedentemente si è rilevato Carabellese attribuisce al soggetto nella specificità di significato che egli dà a questo concetto, valore metafisico che va ben al di là della natura di soggetto senziente volente conoscente, e tanto meno esistente nel senso comune che tare parola ha, e che, non irreggimentabile entro la ristretta visione del soggetto morale, vuole tendenzialmente aprire a una dimensione spirituale che, seppure includente anche l'uomo, non è di suo esclusivo appannaggio. E ci preme sottolineare che tale dimensione spirituale include ma non appartiene al soggetto, nel senso che per Carabellese non è una proprietà, quasi che tra realtà e spiritualità vi sia uno iato, una diversità strutturale da colmare. In questo senso si può comprendere sul piano gnoseologico la costante battaglia carabellesiana contro la divisione soggetto-oggetto, che dualizza una realtà da Carabellese vista come unica e indivisibile nella sua spiritualità (che egli chiama Coscienza o Concreto e nelle ultime pagine della Critica del concreto chiama Tutto), e che vuole attribuire questa spiritualità al solo lato soggettivo. E in questo senso ancora si può comprendere sul piano ontologico anche la critica di Carabellese all'idealismo soggettivo, che nell'assolutizzazione del soggetto e nella sua identificazione con la spiritualità vede da un lato la soluzione delle aporie gnoseologiche e dall'altro l'essenza della realtà. Carabellese è lontano da questa indulgente e ottimistica visione, è più umilmente crede non che la spiritualità appartenga o si identifichi con un soggetto sia pure assoluto, bensì che la spiritualità non sia sul piano metafisico soggettivizzabile. E in questo senso appunto è infine comprensibile il suo immanentismo: la spiritualità è la realtà stessa, l'Essere che tutto include, e che secondo Carabellese solo con un'operazione surrettizia noi possiamo definire Soggetto. Siamo qui insomma non nel pieno dell'argomentazione filosofica, dove vige la consequenzialità e la coerenza dello svolgimento delle tesi: siamo invece ai presupposti che impongono una scelta di campo non ulteriormente "dimostrabile" - sebbene Carabellese affermi che la filosofia "o è dimostrazione o non è" - e che segnano lo spartiacque tra le correnti anche all'interno dello stesso  idealismo, spartiacque inteso come scontro frontale tra Weltanschauungen, proprio perché quei presupposti non sono negoziabili nel senso dell'argomentazione razionale, ma solo assumibili nella direzione dell'opzione di fede, che mette in gioco l'essenza più profonda dell'essere soggetto di ogni filosofo, e che in fin dei conti si rivela essere una scelta obbligata come adesione, per quanto conflittuale sempre necessaria, al più proprio essere io. In questo senso Carabellese respinge sia l'assolutizzazione del soggetto, che abbiamo visto per lui essere spirito singolare, sia la soggettivizzazione della spiritualità, l'esser soggetto della spiritualità, che abbiamo visto essere per lui la Coscienza come Tutto: è una scelta di campo che può attendere la nostra adesione o il nostro rifiuto, ma che comunque si presenta con quel carattere ultimativo che sempre hanno i presupposti fondativi di un pensiero. Risultano comprensibili allora la sua teoria dell'inesistenza di Dio e la sua critica all'umanesimo antropocentrico: l'uomo di Carabellese non è più il centro dell'universo, né in senso empirico né in senso teorico, perché più in alto dell'uomo  c'è il concreto come esperienza soggettivo-oggettiva, quindi il soggetto come spirito, poi la Coscienza come Essere-Sapere, quindi la Coscienza come Concreto  all'interno della quale vi è un rapporto verticale tra Principio e termini e un rapporto di intrinsecità  tra Oggetto e soggetti, quindi la Coscienza come Tutto il cui centro è l' Essere in sé come Idea o Assoluto.  La metafisica teologica carabellesiana, sul piano speculativo della Coscienza come Tutto, seppure al di là delle rappresentazioni mitiche e delle mitopoiesi non solo religiose o popolari, ha dunque un Centro.  Ma è possibile senza contraddizioni concepire  un Centro e nel contempo un'assoluta a-centralità dell'Essere-Pensiero, in cui il Centro è racchiuso in una totalità nella sua eterna infinita dinamica? Nel quadro di riferimento carabellesiano, etico prima ancora che concettuale, l'immanentismo e l'oggettivismo non si trasformano mai in  assoluto panteismo, e un Centro, seppure interno comunque distinto, e dunque, oltre che trascendente l'essere nel quale immane, certamente, pur immanente, trascendente la singolarità di ogni sua espressione, Carabellese lo afferma. Nell'Essere in sé come Idea, Carabellese esprime dal punto di vista del soggetto l'esigenza che la Coscienza come Tutto abbia un Centro, da lui chiamato via via Oggetto puro, Dio, Principio, Unico, Assoluto, a seconda dei piani e dei livelli a cui si pone la sua speculazione.

Ecco allora che, al di là della sua valenza filosofica, l'operazione culturale di Carabellese, seppure lontana dall'ottimismo centralizzante  o anche dalla chiusura difensiva nella dimensione dell'umano, mira comunque alla ricerca di un senso che conservi e all'uomo e a Dio una presenza positiva in quell'orizzonte di significati che sul piano morale ed etico va a costituire il presupposto teorico dell'agire pratico nel mondo.

 

Riassumendo, si può affermare che trascendenza e immanenza nella loro reciprocità determinano il rapporto tra i distinti della Coscienza [99]. Il contrasto e la contraddizione che taluna critica ha voluto vedere in Carabellese tra immanentismo e trascendentismo scompaiono se si tiene a mente che Carabellese rifiuta sia l'assoluta trascendenza nel senso di assoluta separazione tra Dio e Io che l'assoluta immanenza nel senso di assoluta identificazione tra Dio e Tutto[100], e se si considera per immanenza l'intrinsecità e per trascendenza l'ulteriorità, l'inesauribilità che richiede al soggetto uno sforzo incompiuto. Pertanto vanno distinti bene i livelli ai quali trascendenza e immanenza si pongono sul piano metafisico: l'inesauribilità del Principio, e dunque il trascendentismo, è sostenuta da Carabellese e sostenibile in sede teoretica laddove si guardi alla trascendenza sia dal punto di vista della singolarità, sia essa del soggetto, ma anche dell'ente tout court, sia dal punto di vista della totalità, mentre  l'immanentismo è altrettanto sostenibile  sia dal punto di vista della coscienza soggettiva sia se ci si pone al livello della totalità dell'essere, a patto che si intenda tale immanentismo come presenza positiva, nella Coscienza come Tutto, dell'Essere in sé come spiritualità, che lo pervade sostenendolo in un miracolo continuo che è la creazione secondo Carabellese, e che è continua rivelazione.


Pertanto, nonostante Carabellese affermi, con espressione estremamente suggestiva, che nel Concreto "palpita" Dio [101], da ciò non si può senz'altro concludere, per quanto in alcuni luoghi Carabellese vi possa propendere, per un panteismo che sostenga un "Deus sive Natura" senza residui, sebbene la tesi dell'inesistenza di Dio  ha spinto alcuni critici in questa direzione. Infatti, anche se  Carabellese non lo dice, l'idea immanentistica e panteistica di un Deus sive Natura, mentre esaurisce l'universo nella sua totalità - quello che Carabellese chiama la Coscienza come Tutto - in Dio, non può però esaurire Dio nell'universo, come egli afferma nelle ultime pagine della Critica del concreto, cioè identificarlo senza residui con esso, proprio perché il suo principio è la spiritualità attiva. Il Dio di Carabellese vive e palpita nella natura come Tutto-Coscienza, e in questo senso è un Deus sive Natura, ma poiché è spiritualità dinamica, continuamente lo trascende perché quel Deus sive Natura è la manifestazione visibile - potremmo dire l'atto continuo che, appunto perché continuo nella temporalità eterna come durata, è inesauribile - di quella spiritualità. In questo senso la trascendenza di Dio non si verifica soltanto al livello della singolarità degli enti, siano essi soggetti o oggetti, e non si riferisce soltanto all'inoggettivabilità che fa sì che per il filosofo Dio costituisca lo sforzo sempre inconcluso - lo scacco dell'esistenza jaspersiano - ma riguarda invece anche il livello della totalità dell'essere, il livello del Tutto-Coscienza, a partire dall'accento posto più volte da Carabellese sull'essere il Principio implicito non solo nella prospettiva soggettiva, che pure è metafisica, ma anche nella prospettiva metafisica in senso stretto, ossia dal punto di vista del Tutto. In questo senso la sua inesauribilità e implicitezza non riguarda più soltanto il soggetto, ma lo sviluppo stesso dell'universo, che nell'esplicarlo non lo esaurisce, e non esaurendolo non può identificarvisi. Panteismo e immanentismo risultano allora solo un aspetto della visione metafisica di Carabellese, alla quale, si è cercato di mostrare, è altrettanto indispensabile il trascendentismo: tra immanenza e trascendenza si stabilisce così un circolo di rimandi che nell'ulteriorità della trascendenza impediscono la morta staticità dell'immanenza e che nella spiritualità dell'immanenza impediscono l'alterità e la separatezza della trascendenza. L'eco di Spinoza, non a caso anche lui accusato di ateismo, è qui più evidente che altrove, anche se Carabellese è lontanissimo, se non per intenzione per temperie culturale, nonostante dichiari che la filosofia è dimostrazione e nonostante a Spinoza abbia dedicato quattro corsi inediti dalla Cattedra di Storia della Filosofia a Roma, dal rigore dimostrativo e dall'ansia di sistema che caratterizzano il filosofo olandese.

In questo immanentismo che non si trasforma mai in radicale panteismo, e in questo permanere del dualismo ad esso collegato tra Uno e Tutto, sono le ragioni della vicinanza di fatto di Carabellese al cattolicesimo e al pensiero cristiano, che da un lato sottolineano l'immanenza di Dio in tutto l'Essere, dall'altro rivendicano la sua trascendenza. Allora la risposta a se è possibile concepire metafisicamente una Coscienza  radicalmente panteistica è, riguardo Carabellese, senz'altro negativa: soltanto il panteismo più radicale può forse fare a meno di un Centro perché si trasforma in un assoluto monismo nel quale il dualismo implicito e inevitabile nel concetto di Centro, Principio, ecc., viene eliminato da una concezione unitaria dell'essere priva di articolazioni interne e di livelli dell'essere.

Concettualizzare questo Centro, che Carabellese chiama Principio o Assoluto, in termini soggettivi[102], significa non aver colto la sua dimensione di Idea. Per chi, come Carabellese, profondamente religioso e assetato di Assoluto, ha scelto di non praticare la strada del silenzio mistico e della teologia negativa, né di affidarsi al rassicurante rifugio di una fede ortodossa lasciando libera la speculazione di esercitarsi in altri campi, né di identificarsi definitivamente in un pensiero non suo che al tempo stesso colmasse sete di sapere e sete di Assoluto, l'unica via percorribile, scelta ma anche assunta, resta quella di una ricerca personale che, nella tensione e nell'incontro tra ragione e fede, di una fede che è ragione e di una ragione che è fede, costruisse, nel dialogo talora appagante talaltra aspro con autori coevi e passati, una propria metafisica in cui filosofia e teologia, scisse sul piano storico, e filosofia e religione, da lui stesso distinte sul piano concettuale, finiscono, se non certo con l'identificarsi, con l'incontrarsi in una nuova sintesi di pensiero, per quanto provvisoria e aperta a ulteriori sviluppi. E' da notare allora che forse più di ogni altro è il termine Spirito che consente di mettere in relazione, facendole interagire tra loro senza entrare in contraddizione, l'immanenza e la trascendenza. Sebbene infatti Carabellese non lo usi quasi mai e preferisca di volta in volta i termini Principio, Oggetto puro e Dio, il concetto di Spirito, o anche quello da lui appropriatamente usato di Assoluto, esprime bene una presenza immanente all'essere ma nel contempo ad esso eccedente, una presenza che, nella sua ulteriorità implicita nell'essere che divenendo la esplica, perciò stesso rimane sempre trascendente nella sua inesauribilità[103]. Il concetto di Spirito, congiunto alla sua immanenza nell'essere, rende possibile la depersonalizzazione e de-entificazione della Trascendenza, ma anche la sua non alterità ed estraneità rispetto all'essere stesso, oltre il quale, come esplicazione dello stesso Spirito, non vi è nulla (nel senso che anche il nulla è una forma d'essere). Il concetto di Spirito congiunto alla sua trascendenza intesa come implicitezza  ne segna, dal punto di vista soggettivo come dal punto di vista oggettivo, l'inesauribilità. 


 



[1][1] Secondo Ornella Nobile Ventura, l'antiumanesimo carabellesiano si sposa con il suo antisoggettivismo che nega l'identificazione dello Spirito con l'uomo, seppure inteso non in senso empirico ma come soggetto puro, ed anche questa distinzione tra soggetto empirico e soggetto puro, propria dell'idealismo e del neoidealismo, è da lui rifiutata: cfr. O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico laico: P. Carabellese cit., pp. 164 sgg.

[2][2] P. Carabellese,  Postilla a IV: Trascendentalità e non trascendenza della filosofia, 1940, in Id., Che cos'è la filosofia? cit., Postilla al Saggio IV: Che cos'è la filosofia? cit., 1921, p. 124.

[3][3] In questa interpretazione mi conforta anche il giudizio di Edoardo Mirri. Cfr. E. Mirri, Introduzione cit. a P. Carabellese, Il problema teologico come filosofia cit., pp. V-XVIII, in partc. pp. XI e XVII. Il problema di Carabellese, sottolinea Mirri in consonanza con un'analoga interpretazione di Semerari, è quello della riaffermazione dei soggetti molteplici nella loro concretezza come appartenenti alla coscienza, riaffermazione necessaria dopo l'idealismo post-kantiano che li ha ridotti a meri fenomeni, e negati nella loro molteplicità. Si è cercato di mostrare sin qui che tale interpretazione, pur giusta nel cogliere un aspetto del pensiero di Carabellese, non centra del tutto la specificità del discorso carabellesiano, che è molto più complesso.

[4][4] Questa sottolineatura della coscienza carabellesiana come ambiente omnicomprensivo la si ritrova concordemente anche in Semerari, il quale  si chiede che cosa Carabellese intendesse per Coscienza, "[...] di cui la filosofia doveva essere riflessione trascendentale? Perché C. riteneva la coscienza non solo il primum dell'esercizio filosofico [...] il presupposto della filosofia [...] ma pure il primum tout court nel senso che essa è [...] [qui cita C.] 'L'ambiente, dal quale nessuno di noi operanti con coscienza può essere mai escluso' [P. Carabellese, La coscienza, in AA.VV., Filosofi italiani contemporanei, a cura di M. F. Sciacca, Marzorati, Como, 1944, II ed. Marzorati, Milano, 1946, p. 206], ambiente 'non umano soltanto, non soltanto cosmico, ma ontico (cioè comprendente ogni ente) [...]'" [Ibidem, p. 208]. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo critico di P. Carabellese. Genesi e significato cit., in AA.VV. P. Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., pp. 10 sgg., in partc. p. 18. Tale centralità della coscienza in Carabellese però, ci sembra necessario rilevare, appartiene a un periodo specifico del suo percorso filosofico, ma non può essere considerata tale nel complesso del suo pensiero, che, come mostrato, si sviluppa in un periodo metafisico in cui essa Coscienza costituisce un aspetto del discorso carabellesiano sull'Essere.

[5][5] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 105.

[6][6] P. Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p. 443. Altrove dirà: "I realisti trascendentisti [...] e gli idealisti umanisti dell'idealismo soggettivistico post-kantiano [...] gli uni per superare insieme con la coscienza umana, la coscienza, gli altri per limitare la coscienza alla coscienza umana [...] hanno lo stesso vizio d'origine: l'identificazione della coscienza con l'umanità." Cfr. P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 124.

[7][7] Franco Fanizza ad esempio ricorda che alcuni, come Ornella Nobile Ventura, hanno interpretato questa dottrina come implicita esigenza religiosa e ascetica, mentre altri, come Luciano Anceschi, come espressione di un pensiero laico. Cfr. F. Fanizza, Conoscere ed essere: Carabellese e l'esigenza dell'ontologismo integrale cit., in AA.VV., P. Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., p. 80. In questo saggio Fanizza, alle pp. 45-53, introduce alcune brevi note di storia della critica carabellesiana, intersecate con note sulla bibliografia carabellesiana e divise, al contrario delle nostre, tematicamente e non cronologicamente.

[8][8] E' ciò che fa Rocco Donnici, Comunità e valori in Pantaleo Carabellese cit., passim, in partc. p. 54, dove afferma, cogliendo senz'altro alcuni aspetti del concetto carabellesiano di coscienza, che questa non è mai oggetto di conoscenza tematica, né è concetto o idea, ma condizione di possibilità di ogni atto di coscienza del soggetto. Molto convincente mi sembra viceversa l'interpretazione del pensiero carabellesiano come metafisica del dover essere, laddove gli uomini, nell'azione, esplicano la coscienza che da implicita si fa esplicita. Cfr. Ibidem, p. 102 sg.

[9][9] Si può situare lungo  questa linea interpretativa l'analisi che della Critica del Concreto carabellesiana fa Giuseppe Semerari nel suo La sabbia e la roccia cit., pp. 40 sgg., dove afferma che la critica del concreto fu nient'altro che critica della coscienza. Il problema della critica della ragione doveva essere staccato dai limiti angusti dell'intelletto come ragione conoscitiva, per allargarsi alla coscienza quale fondamento del sapere ma anche del fare. Pertanto Carabellese opera una radicalizzazione del kantismo, nella quale il Kant cui Carabellese si rifà non è il Kant criticista. Ma Semerari vede nell'ontologizzazione a cui Carabellese sottopone la coscienza, facendone l'essere e l'apriori incondizionato oltre il quale non è possibile andare, l'estremo tentativo di sottrarsi alla crisi dei valori, disconoscendo dunque che il vero apriori incondizionato è l'Essere. Cfr. Ibidem, pp. 51 sgg.

[10][10] Ci conforta in questo senso l'interpretazione di Silvano Buscaroli, La rilevanza perenne di Carabellese, nell'ascesi di coscienza, in rapporto al pensiero europeo cit., in AA.VV., Pantaleo Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., p. 196 e pp. 208-210. Secondo Buscaroli, anch'egli concorde con la maggior parte dei critici nel definire il concetto di Coscienza il fulcro dell'ontologismo critico, Carabellese con questo concetto intende esprimere la totalità del reale, tanto che è possibile avvicinarlo all'Umgreifende jaspersiano, sebbene poi in Carabellese la Coscienza si presenti come concetto articolato e non indefinito. Se concordiamo sul fatto che  da un lato essa è unitaria e omninglobante, al di là, al di fuori e al di sopra della quale non è nulla, non altrettanto sul fatto che dall'altro essa è varia e plurima soltanto per la pluralità dei centri di coscienza soggettivi nei quali, potremmo dire, si incarna. Nell'essere la Coscienza ciò di cui non v'è al di là, ma tale che comprende tutto, Buscaroli vede il richiamo all'antico concetto di Essere: non l'essere predicativo raggiunto per astrazione che finisce per identificarsi col nulla nella sua assenza di particolarità, bensì l'Essere pieno che di tutte le cose è onnipervasivo.

[11][11] P. Carabellese, E' possibile filosofare?, discorso inedito tenuto presso la Sezione di Bologna dell'Istituto degli Studi Filosofici nel 1941, poi stamp. in Id., Che cos'è la filosofia? cit., p. 227. La via ontologica è possibile per "[...] l'immanenza (intrinsecità) dell'Assoluto alla coscienza singolare [...]." (Ibidem, p. 226), Assoluto che è sì quindi accessibile a ogni coscienza singolare, ma che da quella del filosofo, e in specie del metafisico che per Carabellese è il vero filosofo, viene tematizzato in modo specifico, in modo tale che il sapere comune per Carabellese "ha" l'essere perché glielo "dà" il sapere filosofico, altrimenti "[...] sarebbe il sapere del prigioniero della caverna platonica: non distinguerebbe [...] l'apparire dall'essere." Cfr. Ibidem, p. 228.

[12][12] P. Carabellese, Coscienza comune e filosofia, discorso inedito del 1931 poi stamp. in Id., Che cos'è la filosofia? cit., p. 182. Anche Kant secondo Carabellese concepisce l'essere secondo il vecchio realismo dogmatico della contrapposizione dualistico-sostanzialistica di essere e pensiero, di soggetto e oggetto, e quindi non comprende la sua stessa scoperta, che consiste non nell'inconoscibilità della cosa in sé che pone limiti alla conoscenza, bensì (come felicemente nota Semerari a p. 63 del suo già cit. La sabbia e la roccia) nella "sinteticità soggetto-oggettiva del reale", che il Kant critico concepisce ancora in termini gnoseologici e che Carabellese vuole invece interpretare in termini ontologici, secondo il suo progetto di una nuova metafisica critica, che si vede già anche in questo brano del discorso del 1931.

[13][13] Secondo Semerari, è proprio la concezione dell'essere come Coscienza o della Coscienza come essere uno dei motivi profondi del rifiuto acceso del neotomismo, la cui separazione realistica di essere e coscienza era secondo Carabellese il tratto comune anche all'idealismo e all'attualismo, implicita nel primo, esplicita nei secondi. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo critico di P. Carabellese. Genesi e significato cit., n. 19, p. 16. Ci sembra invece di aver messo in luce, nel nostro piccolo lavoro Per una storia della critica, che il realismo scolastico, nelle espressioni di pensiero di Gustavo Bontadini e Sofia Vanni Rovighi, concordi con Carabellese nel ritenere l'essere non altro dal pensiero, ma lo stesso pensiero: i punti di discordanza sono altri.

[14][14] Interessante a questo proposito la convergenza individuata da Gian Franco Morra tra Carabellese ed Heidegger riguardo allo sviluppo della storia della filosofia come oblio dell'essere. Morra così riassume la vicinanza tra i due pensatori, al di là delle notevoli differenze che è necessario non dimenticare: "1) Il rifiuto della categoria storiografica dell'Entwicklung, che consente a entrambi una comprensione del significato della filosofia presocratica, scaturisce dal comune antiumanesimo dei due filosofi, cioè dal loro comune ontologismo, dal rifiuto, cioè, di una considerazione antropomorfica della realtà. 2) La critica dell'idealismo e del realismo [non scolastico] vuole in entrambi evitare la frattura tra essere e pensiero, riproponendo l'originaria unità, che Carabellese definirebbe ontocoscienziale e Heidegger ontologica, di un Sapere che è e di un Essere che sa. 3) Lo sviluppo della storia del pensiero occidentale è vista da entrambi come oblio dell'essere, come perdita, cioè, dell'originaria unità causata dal trionfo dello scientismo aristotelico e delle filosofie umanistiche." Cfr. Gian Franco Morra, Carabellese e Heidegger interpreti di Parmenide cit., in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., passim e in partc. p. 508. Nel contempo, Armando Rigobello sottolinea come ambedue i pensatori abbiano rivolto la loro attenzione al rapporto di Kant con la metafisica, che costituisce per entrambi la cifra specifica del filosofo di Konisberg, dal momento che il problema ontologico fonda e apre la possibilità del problema gnoseologico, e non viceversa. Cfr. A. Rigobello, Rapporti teoretici ed implicanze storiografiche tra la interpretazione storiografica di Kant e quella di Heidegger, Ivi, pp. 545 sgg.

[15][15] P. Carabellese, L'attività spirituale umana. Prime linee di una logica dell'Essere cit., p. 42.

[16][16] Abbiamo già visto come secondo Carabellese Cartesio affermi il cogito Deum, per cui il suo valore, al di là della gnoseologia e dell'ontologia, è nella metafisica. Cfr. il mio lavoro I maestri di Carabellese.

[17][17] Anche secondo Edoardo Mirri Carabellese recupera di Cartesio l'Essere intrinseco al cogito, l'Essere presupposto del pensare e ad esso intrinseco. Cfr. E. Mirri, Introduzione cit. a P. Carabellese, L'attività spirituale umana cit., p. 16.

[18][18] Con la concezione della soggettività, come anche con l'attenzione al Concreto, Carabellese si inserisce in quel vasto movimento non solo filosofico ma anche culturale (si pensi in campo artistico all'espressionismo) a cavallo tra Otto e Novecento di ritorno al concreto, di ritorno, per dirla con Husserl, "alle cose stesse", che nel campo della soggettività segna il definitivo distacco dall'intellettualismo e di cui parla Giuseppe Cantillo.

[19][19] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., n. 1 di p. 187-88.

[20][20] P. Carabellese, L'Essere e il problema religioso cit., pp. 161 sgg.

[21][21] Ibidem, p. 181. In questo, al di là della polemica, egli si incontra con la neoscolastica.

[22][22] Bisognerebbe confrontare questo suo rifiuto del teismo del 1914 con la posizione espressa in Stato etico o teismo politico?, in "Archivio di Filosofia", Quaderno La crisi dei valori, Roma, 1945, pp. 7-14, poi rist. come cap. XIX in Id., L'idea politica d'Italia, Ediz. F. V. Nardelli, Roma, 1946.

[23][23]  P. Carabellese, L'Essere e il problema religioso cit., p. 238. In quest'opera la scissione tra religione e filosofia è ancora evidente: sebbene religione e filosofia vogliano essere ambedue tentativi per oltrepassare l'esperienza e porsi i "massimi problemi", hanno fondamenti diversi: la religione ha a fondamento l'eteronomia perché crede in un Essere trascendente, la filosofia si situa sul terreno dell'autonomia della ragione. Cfr. Ibidem, p. 247.

[24][24] O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico laico: Pantaleo Carabellese cit., p. 58.

[25][25] P. Carabellese, Critica del concreto cit., Appendice I B Concreto, pp. 220 sgg., citaz. p. 222.

[26][26] Ivi.

[27][27] P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 278.

[28][28] Secondo Semerari, il Concreto, che per lui è "individuazione esistenziale, plurima e relazionale dell'universale", è perciò "sintesi" di particolare e Universale, sintesi con la quale Carabellese si oppone sia alla concezione immanentistico-idealistica sia a quella realistico-trascendentistica, e la cui concezione è già chiara nell'articolo del 1913 su "l'Unità" Il concretismo de 'l'Unità'", come anche in Felicità o dovere? del 1915 e in La coscienza morale come teoria della volontà del 1917. Ma Semerari, che dà una lettura trascendentale e non metafisica del Concreto come sintesi e non come distinzione di particolare e Universale, critica infatti l'ontologizzazione cui Carabellese sottopose la Coscienza. Cfr. G. Semerari, La sabbia e la roccia cit., pp. 52 sgg., in partc. pp. 57 e 61.

[29][29] Ibidem, p. 222.

[30][30] Secondo Semerari Carabellese chiama concreto  quel processo di "concrescenza materiale/formale" che, ricordiamo, gli derivava da Masci. Egli nota acutamente che per Carabellese il concreto non era, contrariamente a quello che ancor oggi generalmente si pensa, l'opposto dell'astratto, il reale contrapposto all'ideale, né il particolare vuoto di universale: era invece la concrescenza strutturale di condizioni distinte e trascendentali della coscienza quali identità e diversità, spazio e tempo, singolare e universale, soggetto e oggetto, io e Dio, pratica e teoria, ecc. "[...] che la intera tradizione filosofica occidentale aveva continuamente scisse l'una dall'altra, rendendole astratte, e [...] le aveva alternativamente scambiate per il concreto stesso, laddove esse sono ciò che sono soltanto in virtù del simultaneo e reciproco concrescere e, come subito nota un critico di C. [Ugo Spirito, L'idealismo italiano e i suoi critici, Le Monnier, Firenze, 1930, pp. 153-62, II ed. Roma, 1974] [...] nel senso di una perfetta parificazione dei diritti dei due  termini, sì che l'oggetto non sia prodotto del soggetto, né il soggetto dell'oggetto." Semerari dà dunque del concreto carabellesiano un'interpretazione non metafisica come Coscienza, che a noi qui invece sembra necessaria. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo critico di P. Carabellese. Genesi e significato cit., pp. 22 sgg.

[31][31] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., pp. 363-64.

[32][32] P. Carabellese, L'Essere. Parte II: Io cit.

[33][33] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 364-65.

[34][34] P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 183.

[35][35] P. Carabellese, Introduzione a Id.,Il concetto della filosofia da Kant ai nostri giorni I. Kant cit., p. 8.

[36][36] A questo proposito, O. Nobile Ventura, in Id., Filosofia e religione in un metafisico laico: P. Carabellese cit., afferma con Carabellese che se la coscienza fosse solo attributo umano, se ne dovrebbe concludere un tempo in cui non sia stata, oppure immaginare un'eternità dell'uomo. Un altro studioso di Carabellese già ricordato, Rocco Donnici, considera il suo antiumanesimo soltanto formale: proprio perché l'uomo per Carabellese partecipa dell'eternità della spiritualità, è rinvenibile nel suo pensiero un nuovo umanesimo che, superando l'antropocentrismo, riafferma però la dimensione infinita della coscienza dell'uomo. E' nota la polemica di Carabellese contro ogni visione naturalistica e fenomenica dell'uomo che tende ad appiattirlo sulla dimensione del divenire e della storia. Il partecipare l'uomo di questa coscienza infinita significa allora superare le barriere della finitezza naturale e fenomenica e, attraverso la sua struttura spirituale, porsi al di là di essa nell'infinito. Cfr. Rocco Donnici, Comunità e valori in Pantaleo Carabellese cit., p. 96 sg.

[37][37] Nella Prefazione alla II ed. della sua Critica del concreto cit., p. XVII, Carabellese afferma esplicitamente che "[...] lo spirito è eterno e della filosofia oggetto è proprio lo spirito in quanto eterno [...] La filosofia perché è riflessione sull'Assoluto, può scoprire, non può e non deve creare: sarebbe la sua una creazione dell'Assoluto." 

[38][38] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 283. Anche altrove Carabellese ritorna sul concetto di una coscienza che non può ridursi a mera coscienza umana, né tantomeno a coscienza empirica, psichica, perché ciò significherebbe ridurre la spiritualità a psichicità, mentre per Carabellese lo spirito è eterno, non nasce e non muore: cfr. P. Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p. 411 sg.

[39][39] P. Carabellese, E' possibile filosofare? cit., in Id.,  Che cos'è la filosofia? cit., pp. 286 e 300.

[40][40] Ibidem, p. 279.

[41][41] Ibidem., p. 286.

[42][42] Ibidem, p. 281. Si veda anche, per il chiarimento che stiamo cercando di apportare, sempre a p. 281, non solo il titolo, ma anche l'inizio del par. 18: "Il vivere non toglie la coscienza pura. - a) Ma il vivere terreno, che diviene, consente questa elevazione nella coscienza, che è?". La sottolineatura è mia, per evidenziare sia l'elevazione, sia, soprattutto, la coscienza che è, la Coscienza, che fonda tale elevazione in essa. Anche del titolo, mirante a salvaguardare la dignità della vita terrena, ci preme invece mettere in evidenza la coscienza pura, ossia la coscienza che è, la Coscienza.

[43][43] Ibidem, p. 282.

[44][44] Ibidem, p. 281, n. 1.

[45][45] Cfr. anche, a questo proposito, Edoardo Mirri, Il senso cristiano della persona e della società nel pensiero di P. Carabellese, in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., in partc. p. 200, e Ernesto Pomilio, Il messaggio carabellesiano, Ivi, pp. 228 sgg. Pomilio cita una bella pagina del carabellesiano La coscienza cit., nella I ed. di AA. VV., Filosofi italiani contemporanei cit.,  p. 181, in cui Carabellese, opponendosi all'esistenzialismo e all'hegelismo, afferma che la coscienza pura sottrae il vivente alla morte, in quanto lo trasforma in pensante e così gli fa oltrepassare il divenire transeunte della natura per porlo nell'essere eterno dello spirito. Pomilio sottolinea  come questa concezione sia un ideale ascetico della vita che si ribella alla dimensione finita del tempo (Carabellese la definirebbe della temporaneità) e, trascendendo se stessa nel pensare puro, si situa nell'infinita eternità.  Questo stesso riconoscimento del punto dirimente rispetto all'esistenzialismo costituito dalla diversa concezione dell'uomo tra infinitezza e finitezza viene  anche da Enrico M. Forni, Il problema dell'esistenza in Kant, nell'interpretazione di Pantaleo Carabellese cit., in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., pp. 307 sgg. Ma, seppure il discorso di Forni risulta allargato e articolato - egli mette infatti in rilievo come Carabellese risentisse dell'interesse europeo nei confronti dell'esistenzialismo che si verificò intorno agli anni Quaranta, da cui nasce l'opera carabellesiana La filosofia dell'esistenza in Kant, cui Forni dedica nel suo saggio approfondita analisi -, la sua interpretazione dell'Essere-Sapere come coscienza trascendentale in senso kantiano, che segnerebbe la sostanziale convergenza nel ripensamento del pensiero kantiano di Carabellese con l'esistenzialismo, nonostante egli metta in luce di tale concezione dell'essere-pensiero l'importanza, ci sembra non colga il fulcro della questione, che non è trascendentale ma metafisica. Ma poi Forni, seppur non parlando di metafisica critica ma di ontologismo critico, non manca di sottolineare che, oltre alla ridefinizione del problema dell'esistenza, ciò che condusse esistenzialismo e ontologismo critico a percorrere strade diverse fu che quest'ultimo perverrà ad un allargamento della coscienza fuori dai confini gnoseologici in una direzione oggettiva che oltrepassa la determinatezza finita della coscienza puramente umana.

[46][46] P. Carabellese, E' possibile filosofare? cit., in Id., Che cos'è la filosofia? cit., pp. 342 e 344.

[47][47] Ibidem, p. 284-85, n. 1. La sottolineatura è mia. Ribadendo che solo la Coscienza propriamente è, Carabellese ne La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p. 440 sg., afferma che solo essa, considerata nella sua purezza, ci indica l'Essere, superando l'empiricità del divenire che invece risulta alla coscienza empirica.

[48][48] Ibidem, p. 284. Le sottolineature sono mie.

[49][49] Un primo originario nucleo di questa concezione dei soggetti si può rinvenire ne L'Essere e il problema religioso. A proposito del "Conosci te stesso" di B. Varisco cit., pp. 17-43. Qui Carabellese, nell'affrontare il problema dell'Essere, muove dall'analisi della concezione varischiana della soggettività, mettendo in rilievo come per il Varisco del Conosci te stesso il soggetto empirico consiste in uno sviluppo progressivo che va dalla subcoscienza - intesa come unità primitiva di organizzazione della coscienza - alla coscienza chiara e distinta, considerata come unità secondaria. Quindi il soggetto si presenta come unità formale conoscitiva, unità che se come secondaria è conoscente, come primitiva non è però mai conoscibile nel senso di sperimentabile. L'essere il soggetto come coscienza secondaria un'unità  formale conoscitiva è di chiara derivazione kantiana come forma che unifica il molteplice dell'esperienza, centro di attività spontanea conscia che organizza in unità l'esperienza. Ma è nell'essere il soggetto un'unità primitiva subconscia non sperimentabile che dal piano trascendentale si ha un salto nel piano metafisico dell'Individuum metafisico e dell'Essere: infatti in tutte le unità primitive è implicito un elemento unico e comune che le costituisce tutte, l'Essere, il quale, indeterminatissimo in sé, trova in ciascuna unità primitiva la propria determinazione, così da rendere ciascuna differente dall'altra. Mentre l'Essere è uno in ogni spontaneità, accomunandole tutte, ognuna ritrova la propria specificità nel sentimento, elemento alogico e irrazionale, ma ancor più nel rapporto per cui si distingue dagli altri io. Oltre a sottolineare l'importanza di questa concezione del soggetto, che già dal 1914 era in connessione al problema dell'Essere, vorremmo intravvedere qui un primo affacciarsi di quella originaria intersoggettività che caratterizzerà il pensiero maturo di Carabellese.

[50][50] Cfr. P. Carabellese, Critica del concreto cit., pp. 124 sg.: "[...] questi distinti della coscienza, molti e unico, singolare e universale, soggetto e oggetto, sono condizioni trascendentali della coscienza [...] inseparabili, e in questa loro inseparabilità sono l'essere concreto, la coscienza attiva [...] distinzione [che] è ineliminabile, come distinzione dei distinti e reciproca loro richiesta. Questo è il vero valore della trascendentalità kantiana, dalla quale la filosofia si è allontanata, ponendo come trascendentale il soggetto. [...] trascendentali invece sono i soggetti di coscienza, a condizione che trascendentale sia anche, anzi prima, l'oggetto di coscienza." Anche qui, come altrove, non possiamo fare a meno di notare la compresenza del piano gnoseologico, del piano trascendentale e del piano metafisico.

[51][51] Ambedue le citazz. sono prese da Ibidem, pp. 161 e 163.

[52][52] Secondo Luigi Cimmino, il concreto è per Carabellese struttura, "[...] un orizzonte di rapporti che non suppone l'immediatezza, l'antecedenza reale dei termini di cui è composta, bensì vive in piena fusione con essi [...]": " [...] una struttura i cui elementi sono inseparabili, o la cui separazione coincide con la perdita di significato proprio degli elementi che la compongono.", perchè appunto tale separazione significa l'astrattezza degli elementi, che solo nel rapporto e del rapporto concreto vivono. Così, secondo Cimmino, il concreto è per Carabellese la riaffermazione del valore della molteplicità, che è sempre molteplicità in relazione strutturata. Affermare che i termini della relazione non sussistono prima e indipendentemente dalla relazione stessa, che è perciò l'originario, significa, nota acutamente Cimmino, allontanare da tali termini il surrettizio concetto realistico di cosa. "[...] nell'<<ontologismo>>, concreto significa essere assoluto, pensato come unità (l'unico Oggetto) di un molteplice (dei molti soggetti)." Cfr. Luigi Cimmino, Carabellese Il problema dell'esistenza di Dio cit., rispettiv. pp. 25, 26, 69.

[53][53] P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 170 sg., e, più in generale, pp. 170-78.

[54][54] Che la coscienza come sapere l'essere implichi sempre un chi e un qualche cosa, e che questo chi e questo qualche cosa siano stati separati in un dualismo soggetto-oggetto che identifica il soggetto con la coscienza e l'oggetto con l'essere è da Carabellese ripetuto anche in altri luoghi: "A questo <<chi>> identificato con la coscienza è stato dato, nella filosofia moderna, nome e valore di soggetto; a quel <<qualche cosa>> estraniato dalla coscienza è stato dato invece nome e valore di oggetto. Così il dualismo di sapere e essere quasi si ipostatizzò [...]: il soggetto sa, l'oggetto è [...]." Cfr. Ibidem, p. 184.

[55][55] Ibidem, p. 177.

[56][56] P. Carabellese, Critica del concreto cit., Introduzione, p. XI. Anche ne L'idealismo italiano cit., p. 185, Carabellese riprende la stessa argomentazione, considerando falsa l'impostazione che vuole il soggetto come coscienza e l'oggetto come essere, perché priva "[...] di essere il soggetto e di coscienza l'oggetto [...] la soggettività è la plurale singolarità (di coscienza e di essere) espressa nel <<chi>> [...] l'oggettività invece è l'unicità (di coscienza e di essere) [...] il <<chi>> non resta privo di essere; il <<qualche cosa>> non resta privo di coscienza."

[57][57] Ibidem, p. 187, e, più in generale per tutta questa argomentazione, pp. 183-191 e pp. 198 sgg.

[58][58] Questa stessa critica avrebbe dovuto forse, all'epoca della polemica sull'ateismo, leggere, in una bella nota sulla superbia ma anche sulla necessità della libertà di pensiero del filosofo che voglia far avanzare la ricerca, quello che Carabellese dice nel mentre afferma consapevolmente la novità della propria riflessione su Dio come Oggetto di coscienza, riguardo alle linee della sua maturazione, attraverso "[...] Platone con l'idea, Anselmo con l'argomento ontologico, San Tommaso e la scolastica con la distinzione della realtà oggettiva dalla realtà formale, ecc. oltre agli immediati incitamenti di Kant e Rosmini." Cfr. P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., n. p. 162.

[59][59] Dario Galli afferma che per la "[...] sua decisa e vigorosa rivendicazione del valore della persona, intesa come soggettività singolare e individuazione dell'Assoluto, nella sua realizzazione dei valori, il Carabellese si inserisce in quella corrente di pensiero, che dai primi decenni del secolo è venuta promuovendo un profondo risveglio culturale e ha riscattato dalle negazioni materialistiche le supreme idealità dello spirito. Ma, a differenza di taluni suoi contemporanei che, nel fervore della polemica antiintellettualistica si sono portati su posizioni irrazionalistiche, per contrapporre a paradossi altri paradossi, il Carabellese non ha negato mai il valore della ragione e la sua insostituibile funzione." Cfr. D. Galli, Il valore teoretico e storico dell'ontologismo critico cit., in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., p. 358. Ciò sebbene si sia notato come Carabellese attribuisca in alcuni luoghi della sua opera tale valore non a tutti gli uomini, ma solo ai credenti, e che abbia una concezione aristocratica del sapere.

[60][60] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 108.

[61][61] P. Carabellese, Ho io coscienza di Dio?, Conferenza promossa dal Centro Romano Studi presso l'Università degli Studi di Roma nell'A.A. 1947-48, poi stamp. in AA.VV., Il problema di Dio cit., p. 68.

[62][62] Carabellese in più luoghi dei suoi scritti adopera indifferentemente il termine "essere" o il termine "coscienza" per definire  il medesimo concetto, la Coscienza o Concreto. Invece ne La filosofia dell'esistenza in Kant,  ciò che altrove definirà "coscienza"  qui è definito come "essere", all'interno del quale vi è una distinzione tra l'Essere in sé, ossia l'Essere unico, Idea, Dio, ed essere in altro, ossia essere molti, i soggetti. Cfr., anche per ciò che si sta discutendo nel testo, P. Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., pp. 522 sgg. Ma in un altro luogo della sua opera Carabellese, evidentemente riferendosi alla coscienza come potenzialità del soggetto e non alla Coscienza metafisica di cui ci stiamo occupando, pone in rapporto l'Essere e la coscienza, distinguendoli, quando afferma: "Noi traiamo dalla coscienza la certezza che l'essere è; questo è principio inconfutabile. Ed è anche principio dell'idealismo, giacché porta con sé necessariamente l'altro, pel quale l'essere è della coscienza [...]". Cfr. P. Carabellese, Critica del Concreto cit., p. 25. Ma rapporto significa  necessaria distinzione tra l'Essere e la coscienza, in quanto l'Essere è Oggetto della coscienza, la quale a sua volta è soggetto dell'essere. Infatti: "L'essere, adunque, essendo essere della coscienza, deve essere saputo (dimostrato) da essa: è stato perciò ritenuto oggetto della coscienza. Reciprocamente la coscienza, essendo coscienza dell'essere, deve essere entificata (affermata) da esso: è stata perciò ritenuta soggetto dell'essere." Ibidem, p. 26. Ma dire distinzione tra Essere e coscienza non significa dire separazione, poiché, come si dice nella stessa p. 26,: "Essere e coscienza sono dunque insieme come esigenze della stessa attività: la concretezza."

[63][63] Ibidem, p. 113.

[64][64] Ibidem, p. 114.

[65][65] Ibidem, p. 115.

[66][66] Ibidem, p. 122.

[67][67] Giovanni Cera, a proposito del concetto carabellesiano di Oggetto, afferma che Carabellese  mira a superare l'alterità sia realistica che idealistica dell'oggetto come estraneo. Ma poiché l'Oggetto è Dio, "L'ontologia fonda o, addirittura, annulla la gnoseologia." Cfr. G. Cera, Sul rapporto oggetto-soggetto nell'ontologismo di Carabellese cit., in AA.VV., Pantaleo Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., pp. 143 sgg., p. 148. Anche Gustavo Bontadini, che vede nell'unicità dell'Oggetto e nella molteplicità dei soggetti i punti di maggior attrito con l'idealismo, riconosce che si ha in Carabellese uno spostamento del concetto di oggetto dal campo gnoseologico al campo metafisico. Cfr. G. Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, La Scuola, Milano, 1945, parr. 9 e 10. La nostra tesi, che riconosce la validità di queste interpretazioni, è però più radicalmente quella che in Carabellese si avverte una connessione del piano gnoseologico e di quello metafisico non sempre adeguatamente supportata dalle argomentazioni, che, oltre a risentire del continuo traslitterare di piano, nascondono spesso altre argomentazioni inespresse che sono da ricostruire, come abbiamo cercato di fare.

[68][68] P. Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p. 377-401, in partc. pp. 388-389. A p. 401 Carabellese riporta l'esempio di Cristo che nel Discorso della Montagna rende esplicito l'essere ognuno figlio di Dio: "Da Kant, che impoverì Cartesio, bisogna risalire a Cartesio, che gnoseologizzò la scoperta cristiana dei soggetti, bisogna risalire al Cristo del discorso della montagna, che, con la sua divina feconda intuizione dei pensanti come tutti, nella loro ciascunità, figli di Dio, fondò la religione positiva più aderente alle esigenze di coscienza. In filosofia bisogna certo spogliare tale intuizione del naturalismo che è in quel <<figli>> e in quel <<Padre>>, ma l'intuizione resta mirabilmente valida e feconda." Quando Carabellese pensa alla comunità umana basata sulla comunicazione tra le esistenze pensa dunque alla comunità nella sua totalità, compresi coloro che si professano atei.

[69][69] Silvano Buscaroli considera il problema della comunicazione tra soggetti uno degli aspetti più rilevanti del pensiero di Carabellese. In questo contesto l'Oggetto diviene "ciò in cui e per cui si pensa", ossia condizione prima e unitaria di possibilità di tutti gli oggetti, garanzia dell'oggettività e dell'universalità della conoscenza, e quindi fondamento della comunicazione tra i soggetti stessi. Cfr. S. Buscaroli, La rilevanza perenne di Carabellese, nell'ascesi di coscienza cit., in AA.VV., Pantaleo Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., p. 197 e n. 20, p. 201. Ci sembra di dover sottolineare che il discorso di Carabellese riguardi il piano metafisico dei soggetti nel senso di pensanti-che-vivono e non solo in senso empirico-esistenziale.

[70][70] Bisogna sottolineare che questa concezione dell'essere soggetto e persona  in quanto nel pensare affermo con gli altri il Principio unico conduce Carabellese ad affermare, a p. 403 de La filosofia dell'esistenza in Kant cit., che l'espressione cartesiana "<<gli atei non possono avere scienza>>" significa che "se questi veramente ci fossero tra i pensanti, non sarebbero persone.", ossia che "coloro che si professano atei non dicono nulla", ossia che sono insipiens, non sanno quello che dicono, non pensano e non sanno. E poi aggiunge: "Le persone sono dunque gli affermatori di Dio, gli spiriti." E ancora: Ma la coscienza non è soltanto ragionare: è anche credere. E perciò possiamo essere persone." Il me puro, lo spirito, la vera soggettività, la coscienza per Carabellese risiede dunque nella religiosità, intesa sul piano umano non come credo determinato e specifico di una religione storica, ma nel senso religioso che è a fondamento di tutte.

[71][71] P. Carabellese, Ho io coscienza di Dio? cit., in AA.VV., Il problema di Dio cit., p. 63.

[72][72] Giorgio Fano, limitandosi in un primo tempo al piano trascendentale, esprime in termini molto chiari il rapporto tra soggetti e Oggetto come condizioni trascendentali del Concreto. La molteplicità dei soggetti è condizione perché possa darsi un'esperienza nella realtà e non solo nella solipsistica condizione della mia fantasia: l'esperienza è sempre qualcosa di condivisibile che non vale unicamente per me, e quindi presuppone una soggettività molteplice. Soltanto in quanto il contenuto di quell'esperienza è comune, esso è oggetto. Fano illustra poi, passando dal piano trascendentale al piano metafisico, con un paragone calzante il rapporto tra i soggetti e l'Oggetto quando afferma: "[...] i singoli soggetti virtuosi, i soggetti morali, sono tali in quanto realizzano l'ideale del Bene, cioè l'oggetto della morale, ma questo ideale [...] sussiste soltanto in quanto si realizza nelle azioni degli esseri virtuosi." Cfr. G. Fano, La situazione anacronistica di P. Carabellese, ultimo dei grandi metafisici, in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., pp. 102 sgg., p. 106.

[73][73] P. Carabellese, Il problema teologico come filosofia cit., p. 130, e, più in generale per la concezione della Coscienza, pp. 127-130.

[74][74] Cfr. G. Semerari, Nota introduttiva a P. Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., pp. VI sgg.

[75][75] Franco Fanizza afferma che la trattazione carabellesiana del tema del rapporto soggetto/oggetto anticipa e si inserisce in quello che è il vero tema generale della nostra epoca filosofica, quella crisi del soggetto e dell'oggetto che però in Carabellese non assume, proprio per gli aspetti contenutistici della sua filosofia, il significato di pensiero negativo: "Carabellese raffigurò sempre se stesso, esplicitamente, non come filosofo della crisi, ma come il teorico superatore di essa; non come o soltanto come il distruttore di una certa trama e di un certo apparato logici e metafisici, d'altronde in disfacimento, ma soprattutto come il (ri)scopritore e, si è detto, il (ri)costruttore dell'autentico sistema dell'Essere, ossia dell'unico e vero onto-logismo [...]". Cfr. F. Fanizza, Conoscere ed essere. Carabellese e l'esigenza dell'ontologismo integrale cit., in AA.VV., P. Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., pp. 64 sg., p. 68.

[76][76] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 46. In questa citazione si avverte già,  sfumata, la polemica contro un soggetto mutilato e ridotto a solo soggetto epistemico cui tra poco accenneremo, come pure la polemica nei confronti dello gnoseologismo. A proposito della Critica del concreto, c'è da notare che gran parte dell'opera è concentrata nell'analisi apparentemente gnoseologica ma in realtà ontologico-metafisica del soggetto e dell'oggetto nonché del loro rapporto, del loro significato e dei travisamenti ai quali sono stati sottoposti nelle principali correnti del pensiero filosofico. La ragione prima di quest'analisi è da Carabellese esplicitata solo in un inciso di p. 99: "Oggi questo ripensamento di quel che soggetto ed oggetto valgano per loro stessi non si fa, ed è invece la condizione necessaria per lo svilupparsi e progredire del pensiero speculativo [...]." [sottol. mia].  Carabellese afferma in altre parole che più a fondo della questione conoscitiva si trova la questione metafisica, ossia che radicalizzare la domanda critica su "come è possibile conoscere" significhi porre l'altra domanda "come è possibile essere" (nell'Introduzione, a p. XI, egli farà un esplicito accostamento tra le due domande, dicendo appunto che dalla prima egli non ha fatto altro che far scaturire la seconda). E' come se ogni volta che noi ci poniamo la questione conoscitiva non facessimo che porci in termini impliciti o scarsamente consapevoli la domanda metafisica, la domanda fondamentale, e che è solo tornando a questa, alla questione radicale da cui nasce il pensiero, che questo stesso pensiero può ulteriormente svilupparsi: "Sembra un ritorno ad una vieta ontologia dogmatica, ed è invece il naturale sviluppo della concezione critica della realtà." (ancora ivi, p. XI)

[77][77] Ibidem, pp. 48 sg.

[78][78] Secondo Ivanhoe Tebaldeschi, Carabellese muove dall'esigenza di superare la contrapposizione, nell'esperienza, tra l'in me e il fuori di me. L'esperienza, nella sua originarietà e in qualunque sua forma, è per Carabellese sempre rapporto tra l'io e il mondo, rapporto che non è mai la conseguenza di una scelta, ma sempre originariamente posto: l'io è essere in relazione, sia con gli altri io nella struttura trascendentale della coscienza, che è l'Io penso, sia con gli altri enti mondani, ossia nel Concreto. Cfr. I. Tebaldeschi, L'essere e l'implicazione di coscienza nel pensiero di Pantaleo Carabellese, in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., pp. 149 sgg. Ci asteniamo dal ripetere che a nostro parere la Coscienza assume in Carabellese una dimensione metafisica e non solo trascendentale.

[79][79] Vorremmo sottolineare che Carabellese chiama "antitesi della soggettività" il fatto che il concetto di soggetto significhi per lui da un lato ente attivo consapevole della propria attività, dall'altro ente che passivamente riceve dal mondo esterno stimoli ed azioni, "[...] in breve, soggetto ad altro diverso da me e agente su di me." Cfr. P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 75, e, in generale, pp. 75 sgg.

[80][80] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 292, n. 1. Carabellese si riferisce qui, in quest'opera ristamp. e ampl. del 1942, alle critiche mossegli da Padre Lombardi nella famosa polemica su "La Civiltà Cattolica", già ricordata, del 1941, quindi posteriormente anche al XIV Congresso Nazionale di Filosofia del 1940 in cui Gustavo Bontadini e Sofia Vanni Rovighi mettono a punto un'analisi dell'"ontologismo critico" sia rispetto al realismo scolastico sia rispetto all'idealismo sia rispetto alle incongruenze che dal loro punto di vista quell'"ontologismo" presenta. 

[81][81] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 80.

[82][82] Ibidem, pp. 82 sg.

[83][83] Ibidem, pp. 84 sg.

[84][84] P. Carabellese, Il problema della filosofia da Kant a Fichte cit., Introduzione, p. 8.

[85][85] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 96 e, più in generale per questa argomentazione, pp. 80-96. E' proprio l'essere l'Oggetto l'universale di coscienza ciò che fonda l'intersoggettività: il rapporto tra i soggetti è possibile, e il solipsismo e il monadismo vengono allontanati, perché tutti i soggetti sono accomunati dal medesimo Oggetto di coscienza, che costituisce il loro universale.

[86][86] Di fondazione metafisica dei soggetti nella pluralità del loro dialogo intersoggettivo parla Edoardo Mirri nel già cit. Il senso cristiano della persona e della società nel pensiero di P. Carabellese, pp. 200 sgg., laddove questa pluralità soggettiva non è esistenzialisticamente quella dei soggetti finiti, ma quella che ha in sé il senso eterno della persona.

[87][87] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 132.

[88][88] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 57.

[89][89] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 134 sg.

[90][90] P. Carabellese, Io cit., pp. 164, 166, 169, 171.

[91][91] Nel suo Il messaggio carabellesiano, in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., n. 2, p. 224, Ernesto Pomilio ricorda come per Bontadini permanga in Carabellese "l'ombra dell'antitetismo" nel rapporto soggetti-oggetto.

[92][92] P. Carabellese, Critica del Concreto cit., pp. 203 sg.

[93][93] Ibidem, p. 181.

[94][94] Ibidem, p. 185.

[95][95] Ibidem, p. 197.

[96][96] Ibidem, p. 201.

[97][97] Ibidem, ancora p. 201 sg.

[98][98] Cfr. O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico laico: Pantaleo Carabellese cit., p. 89.

[99][99] Se per Ornella Nobile Ventura il Dio carabellesiano è "immanente e trascendente insieme", per Pietro Cristiano Drago, dalla Nobile Ventura citato, "[...] la [...] trascendenza (di Carabellese) è ancora immanenza [...] non mi riporta ad una qualsiasi realtà fuori della coscienza, ma è ancora un modo della coscienza.", laddove è proprio qui, nell'essere la trascendenza di Dio interna alla Coscienza (intesa da noi metafisicamente e non soggettivisticamente), che si intravvedono a nostro parere le maggiori difficoltà del rapporto tra Principio e Termini, col pericolo di un circolo vizioso tra trascendenza e immanenza. Cfr. Ibidem, in partc. p. 74, e P. C. Drago, La metafisica di P. Carabellese, in AA.VV., Filosofi contemporanei, Pubblicazione a cura della Sezione di Torino del Reale Istituto di Studi Filosofici, Bocca, Milano, 1943, p. 50.

[100][100] Per Padre Ambrogio Manno il Dio carabellesiano è trascendente e immanente insieme: cfr. A. Manno, L'Assoluto nell'ultimo pensiero del Carabellese cit., in Giornate di studi carabellesiani cit., in partc. p. 443.

[101][101] P. Carabellese, Tra arcaismo e ateismo cit., in "Giornale critico della filosofia italiana" cit., p. 166.

[102][102] Corrado Dollo, rinvenendo in ciò una carenza dell'ontologismo, afferma: "Se l'Assoluto è Coscienza non può non essere Soggetto." Cfr. C. Dollo, Momenti e problemi dello spiritualismo (Varisco, Carabellese, Carlini, Le Senne) cit., p. 142.

[103][103]Così si può concordare con O. Nobile Ventura (cfr. O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico laico: P. Carabellese cit., pp. 60-65) che il Dio carabellesiano è immanente e trascendente insieme: è immanente come Oggetto puro della coscienza, immanenza che rende possibile la sua conoscibilità di diritto che apre la via alla filosofia come sforzo inconcluso di esplicitazione dell'implicito, ed è trascendente come sempre ulteriore al di là che si pone con la sua inesauribilità nella sua inconoscibilità di fatto, che non si trasforma mai in possesso. In questo essere la trascendenza lo scacco e l'eterno al di là dell'esistenza che pure la trova dentro di sé come possesso virtuale, Carabellese è vicino a Jaspers.

 

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