STEFANIA SAPORA

                 COGITO ergo SUM.....ergo DIGITO

 

 

 

 

 

Dalla Dissertazione di Dottorato IX ciclo (1993-96)

 

 

La Coscienza come Concreto in Pantaleo Carabellese

 

 

1. La Coscienza come ambiente omnicomprensivo

E' molto importante, ai fini di una giusta  comprensione del concetto carabellesiano di coscienza, che risale  al suo  periodo critico, sottolineare innanzitutto  che  in Carabellese ritroviamo un ribaltamento della  concezione tradizionale  della coscienza che voleva questa come  un attributo  dell'uomo: tra i suoi obiettivi vi è infatti quello, ricordiamo, di opporsi all'umanismo  antropocen­trico[1] di una lunga tradizione gnoseologica e  intellet­tualistica,  e  ciò comporta pure la  polemica  con  una concezione  che vuole l'uomo come centro della coscienza e della verità: "[...] errore [...] [è  l]'identificazi­one della coscienza con l'uomo."[2] Carabellese,  appunto in ciò proponendo una lettura metafisica della  Coscien­za,  ribalta  l'ottica affermando  la  centralità  della Coscienza in se stessa e della Verità in se stessa:  non è  la coscienza che appartiene all'uomo, ma l'uomo  alla Coscienza[3] Fuori dalla Coscienza,   per  Carabellese  non vi è nulla: tutto è Coscienza[4], cosicché egli inten­de  per  Coscienza "[...] ciò di cui non v'ha al  di  là [...]"[5]. La Coscienza è dunque tutto, il che  significa dire,  se  si capovolge il punto di vista, che  tutto  è coscienza,  nel  senso che l'essere  nella  sua  essenza profonda è coscienza, la quale pertanto non viene conce­pita  come  una proprietà della soggettività,  sia essa trascendentale  o  empirica, ma anzi  viene  considerata come l'orizzonte omnicomprensivo sia della  soggettività che dell'oggettività. Carabellese dà alla coscienza  un significato  amplissimo:  "[...] coscienza  non  è  solo umanità,  e  tantomeno solo  proprietà  della  coscienza umana."[6] Ciò significa, ed è questo il punto  che  mi preme sottolineare pena l'incomprensione del suo concet­to di Coscienza, che Carabellese dà un valore metafisico alla  coscienza,  che perciò noi  scriviamo,  come  solo raramente  egli  fa, Coscienza, appunto con  la  lettera maiuscola  per  distinguerla da quella coscienza  che  è solo un attributo umano.

 

2. La Coscienza come essere: l'Essere che sa, il  Sapere che è

La  dottrina della Coscienza-come-essere o  dell'essere-in-quanto-Coscienza, che è concordemente considerata  da molti  critici il fulcro del pensiero  carabellesiano  e che  ci sembra invece di aver messo in luce  sia,  oltre che  un punto di arrivo, anche un punto di partenza  del suo  percorso filosofico, nel contempo è quella  che  ha prodotto  le  maggiori discordanze in  merito  alla  sua interpretazione[7].

 A  questo  proposito  è  necessario sottolineare  che  l'interpretazione,  comune  a   molti critici, della Coscienza carabellesiana come  condizione di  possibilità  sia dei soggetti  che  dell'oggetto  in senso  trascendentale incorre nel non lieve pericolo  di ridurre  il  pensiero  carabellesiano  ad  un  orizzonte soltanto  trascendentale che, seppure come vedremo  pre­sente  in  Carabellese, non esaurisce a nostro parere  i livelli  a  cui il suo concetto di  Coscienza  si  pone. Interpretare  tale concetto di Coscienza in  Carabellese soltanto come condizione di possibilità di ogni  sogget­tivo  atto  di coscienza significa infatti  da  un  lato porre  nel  giusto rilievo la matrice kantiana  del  suo pensiero[8], ma dall'altro disconoscere che  Carabellese consapevolmente si pone sulla linea di un oltrepassamen­to  di Kant[9], almeno il Kant critico. Ma  anche  questo oltrepassamento  non viene colto a nostro  avviso  nella sua  essenza più profonda se lo si legge all'interno  di una  dimensione   comunque soggettiva  della  coscienza, seppure non più strettamente gnoseologica, ma  allargata a  tutte  le sfere dell'esperienza dell'uomo.  Si  vuole dire  che l'abbandono della dimensione gnoseologica  che ci  consente,   assieme  a Semerari, di  parlare  di  un oltrepassamento del Kant criticista avviene non soltanto in nome di un semplice allargamento dalla ragione  cono­scitiva  alle  altre sfere della coscienza  umana,  come pure  si è dato in altri autori che nel loro  itinerario speculativo  si sono rifatti a Kant,  bensì  attribuendo alla Coscienza  una latitudine specificatamente  metafi­sica[10]. Parlare senz'altro a ragione di un  oltrepassa­mento di Kant, che significa comunque un porre anche  il pensiero di Carabellese sulla linea di continuità  degli sviluppi del pensiero kantiano, è possibile se si inten­de  il kantismo di Carabellese come  un  oltrepassamento della  dimensione  gnoseologica  che va,  oltre  che  in direzione  trascendentale,   metafisica.   La  Coscienza carabellesiana,  in altre parole, è anche condizione  di possibilità dell'esperienza in senso trascendentale,  ma travalica questo significato, che Carabellese  considera comunque riduttivo per la limitazione della coscienza  a funzione del soggetto. Non interpretare correttamente la Coscienza nella sua valenza metafisica, pertanto, condu­ce a nostro parere a non comprendere in che cosa  consi­sta  l'ontologismo critico o ontocoscienzialismo, e  che cosa  intende  Carabellese quando  taccia  le  filosofie soggettivistiche di umanesimo e antropocentrismo. Ma occorre dire che lo stesso autore conduce l'interpre­te a questo sostanziale  travisamento del suo  pensiero. La  dottrina  carabellesiana  della  Coscienza   risente infatti  della  continua trasposizione di piano  tra  la coscienza  intesa come proprietà del soggetto e  la  Co­scienza intesa in senso metafisico, che è quella che più specificatamente connota il pensiero di Carabellese come onto-coscienzialismo. A proposito del livello metafisico della  Coscienza,  Carabellese, sottolineando che  è  la "via  ontologica" che vuole percorrere (per giungere  al livello metafisico), in un luogo ormai maturo della  sua opera,  in cui le linee della metafisica  critica  erano già  tracciate seppure qui non esplicitate,  quasi  rie­cheggiando  Parmenide,  dice: "La coscienza,  dunque,  è ontologica, cioè sa l'essere, anzi è essere, anzi  pura­mente e semplicemente è."[11] Riferendosi invece al piano della coscienza soggettiva, in un luogo precedente della stessa opera argomenta che la vera scoperta che Kant  ci fa  fare,  e di cui ci si accorge soltanto oggi,  è  che "[...]  l'essere  è lo stesso essere che è,  come  tale, nella coscienza, cominciamo cioè a scoprire il  concreto [...];  quell'essere  in sé universale che  era  già  il precritico oggetto del sapere filosofico vero e proprio, cioè  della  cosiddetta  filosofia prima,  non  può  non richiedere  la  stessa  sua  universalità  nello  stesso sapere;  [...]  un sapere determinato, che,  come  tale, riguarda l'essere universale, pone [...] quell'essere al di  là  di sé: ponendolo al di qua, gli darebbe  la  sua propria  determinazione [...]"[12]. Nonostante questo  tra­slitterare  di piani, si è voluto riportare  queste  due citazioni  perché  in esse, seppure da  punti  di  vista diversi,  Carabellese dà una definizione positiva  della Coscienza  come essere, che in molti altri luoghi  della sua  opera riceve viceversa una definizione  negativa  a partire  dalla polemica carabellesiana con quegli  indi­rizzi  filosofici che misconoscono il  convergere  nella Coscienza di essere e pensiero.

La concezione della Coscienza come essere infatti, oltre ad aver prodotto notevoli incomprensioni nella  critica, può essere considerata uno dei punti a partire dai quali si  diramano le diverse polemiche che  Carabellese  apre con  l'idealismo, il realismo non scolastico,  l'empiri­smo,  ecc.,  nonché  l'origine della  sua  polemica  sul rapporto  soggetto-oggetto,  che  tra  poco  vedremo,  e dell'accusa di gnoseologismo che muove a quelle correnti di  pensiero. Innanzitutto nella definizione  della  sua concezione della Coscienza come essere  Carabellese  non poteva  non  definire parallelamente la  sua  concezione dell'essere[13]. Il problema dell'essere, mentre è assente come abbiamo visto nella coscienza comune perché  impli­cito, viceversa è fondamentale per la filosofia, che  lo tematizza  attraverso tutta la sua storia. Il  confronto con  lo sviluppo della storia della filosofia su  questo problema significa per Carabellese, al pari di Heidegger[14], l'apertura di una  polemica con le diverse concezioni che  lungo  l'arco di questo sviluppo si sono  date  del problema  dell'essere. Secondo Carabellese  il  problema dell'essere è sempre stato posto in termini empiristici, ossia  come  domanda sull'essere delle  cose  escludente l'io  conoscente,  e  ciò ha condotto  a  quel  concetto assolutamente generalissimo di essere che è il risultato dell'astrazione  da tutti i particolari modi  di  essere delle cose. Questo concetto universalissimo è dunque  un concetto  vuoto, negativo, un puro nulla[15], cosicché  si ha  la contraddizione che affermando l'essere in  questi termini,  sia da parte dell'empirismo sia da  parte  del razionalismo, lo si nega. Di fronte a queste  posizioni, Carabellese recupera la grandezza di Cartesio   nell'af­fermare  l'intrinsecità  dell'Essere al pensiero  e  nel portare  dentro l'essere l'io non come cosa tra le  cose ma  come soggetto conoscente: io posso conoscere  perché sono,  se non sono non posso conoscere. L'importanza  di Cartesio  consiste anche[16] nell'affermare la  connessione di essere e sapere, di essere e pensiero[17], dal  momento che  l'io  è definito come colui il  quale,  ponendo  la domanda  sul  proprio  essere, la  pone  sull'essere  in generale. Così facendo, Cartesio elimina la  separazione tra  me  che  conosco e le cose conosciute,  e  apre  la strada  all'essere concreto, il Concreto, che non  è il risultato  di  un'astrazione empirica,  ma  piuttosto  è l'essere di coscienza puro, nel quale io sono con la mia singolarità  piena di essere che sente, vuole,  conosce, di  cui  abbiamo già visto la vicinanza a  Dilthey,  pur nella differenza del progetto complessivo dei due pensa­tori,  nell'obiettivo comune di opporsi al  riduzionismo di una coscienza intesa solo come ragione  conoscitiva[18]. Infatti  Carabellese  rifiuta  la  definizione  del  suo ontologismo  come  razionalismo, perché critica  il  re­stringimento della Coscienza a Ragione, intesa dal punto di  vista soggettivo come sola dimostrazione  razionale, ma  nel contempo si guarda anche da qualunque  forma  di irrazionalismo: "[...] non v'ha filosofia più antirazio­nalistica di questo mio concretismo idealistico o  onto­logismo  critico. Questo, infatti, non solo,  ammettendo la  diversità  delle forme di coscienza, non  limita  la coscienza  alla  discorsività intellettuale,  ma  anche, ammettendo la individuazione dell'essere, non limita  la coscienza  alla  dimostrazione [perché] è  escludere  la singolarità  di  coscienza; [...]  negare  la  coscienza concreta.  [...] Perciò il nostro non è né  razionalismo né irrazionalismo, perché è concretismo. Razionalismo  e irrrazionalismo  sono  entrambe  posizioni   speculative [...]."[19] In questa densa definizione del suo  idealismo concretistico è racchiusa, nei suoi vari livelli,  tutta la metafisica carabellesiana che verrà poi alla luce nei corsi dell'ultimo periodo.

Ma  l'affermazione  dell'Essere come Pensiero,   sebbene ponga Carabellese da subito di fronte al problema  della soggettività dell'Essere, come ne L'Essere e il problema religioso, che è del 1914, non lo conduce alle posizioni dell'idealismo  soggettivo, dal momento che  Carabellese intende  per  soggetto "[...] un'unità di  coscienza,  e quindi  sentimento, sviluppo, fine,  perfezionamento."[20], ossia  uno  dei molteplici pensieri in cui  l'Essere  si esplica. Dire che l'Essere è Pensiero vuol dire vicever­sa per Carabellese che l'Essere è accadere, è  attuarsi, è attività, perché pensiero dell'Essere sono per  Cara­bellese gli accadimenti del mondo fenomenico[21]. Ma  Cara­bellese è consapevole che risolvere l'Essere  nell'acca­dere significa avere una concezione panteistica dell'es­sere, mentre viceversa porre tra Essere e accadere   una distanza vuol dire averne una concezione ateistica[22]: qui, in  quello che lui stesso definisce il suo periodo  pre­critico,  che  va sino al 1915 de La  coscienza  morale, Carabellese  ancora non ha trovato quella soluzione  che gli  consente  di porre una continuità  tra  l'Essere  e l'accadere. Il problema si pone nei termini di immanenza o  trascendenza dell'Essere, e a questo stadio  del  suo pensiero,  nell'opera del 1914, Carabellese  non  sembra risolversi  per  una posizione chiara,  sebbene  affermi l'impossibilità  di una dottrina teistica che  impliche­rebbe  quella  trascendenza che per lui  qui  è  propria della concezione religiosa ma non può  appartenere  alla riflessione filosofica[23]. Guardando agli sviluppi metafi­sici  che la concezione dell'Essere ha  in  Carabellese, non  possiamo non concordare con  le parole  di  Ornella Nobile  Ventura,  che  afferma: "L'Essere  è  dunque  la stessa  Coscienza dell'Essere. [...] l'attività,  che  è dell'Essere, è nel contempo dei soggetti che  individua­no,  pensando, l'Essere; cioè l'attività è dei  soggetti concreti,  che, vincolati dalla loro  [...]  scambievole relatività, sono, in quanto concreti, la stessa Coscien­za.  L'Essere nella sua pienezza è implicito in  ciascun soggetto [...]. Questo comune implicito [...]  costitui­sce  la coscienza comune dei molti [...]"[24]. Dove però è importante non identificare ed esaurire senza residui la Coscienza  dell'Essere  nella  coscienza  dei  soggetti, seppure intesa nella sua implicitezza e universalità  di coscienza   comune,   né   l'Essere   nella   Coscienza. Quell'identificazione  senza residui,  proprio  nell'ap­piattire  il livello metafisico sul piano dei  soggetti, seppure  li  innalza come vuole Carabellese  al  livello metafisico, contro l'antropocentrismo di coloro che  sul piano  storico-concreto attribuiscono soltanto  all'uomo la coscienza, non esaurisce né il significato che  Cara­bellese  dà al termine Coscienza, dal momento che  Cara­bellese  contesta il soggettivismo di coloro che  affer­mano  la  Coscienza essere attività che si  esplica  nei soli soggetti, né i livelli dell'Essere, di cui uno è la Coscienza.

 

3. La Coscienza come Concreto

Dall'analisi   dell'opera  carabellesiana  è   possibile affermare   che la Coscienza metafisicamente intesa  sia da  Carabellese denominata anche come Concreto, che  per lui  ad un determinato livello è un Pensiero che è o  un Essere che sa, dunque un Essere-Pensiero. Perciò  il Concreto  come Essere-Pensiero è da  un  lato espressione  polemica nei confronti del realismo  tradi­zionale  che  considera  come concreto solo  ciò  che  è concretamente   visibile,   dall'altro   nei   confronti dell'idealismo soprattutto soggettivo, accomunati secon­do Carabellese dall'errore di scindere essere e pensiero dando l'uno il primato all'essere, l'altro al  pensiero. L'obiettivo della teoria carabellesiana della  Coscienza come  Essere-Pensiero  è infatti quello di  superare  la separazione dualistica tra essere e pensiero che secondo Carabellese attraversa tutta la storia della  filosofia, per riaffermare viceversa la concretezza della  Coscien­za, che è sempre un Essere che sa, o un Pensiero che  è, ossia un implicarsi vicendevole di essere e pensiero che solo astrattamente possono essere separati.

Il  Concreto carabellesiano  implica anche  il  concetto tradizionale  cui questo termine fa riferimento, ma  per distaccarsene leggendolo metafisicamente come un  Essere che  è  pensiero o un Pensiero che è essere,  dunque  un Essere-Pensiero.  Infatti  nella  voce  Concreto   della Grande Enciclopedia Italiana, pubblicata già nel 1931, e poi  ripubblicata  come Appendice nella  terza  edizione della Critica del concreto del 1948, nel fare una  breve storia  del  concetto di concreto a  partire  dalla  sua apparizione nei secoli XII e XIII con Gilberto Porretano e  Duns  Scoto, Carabellese ribadisce  il  mutamento  di significato  cui  egli  sottopone il  termine,  non  più designante la cosa particolare esistente nella  pienezza delle sue qualità della tradizione scolastica, ma neppu­re  l'oggetto sottoposto alle forme  spazio-temporali  e categoriali  del pensiero kantiano, che lasciava  "[...] al di là della cosa concreta conosciuta, una  inconosci­bile cosa in sé [...], ma che comunque sgombra il  campo dalla  res in re medievale, per cui "[...] non c'è  più, infatti,  un  in  re che non sia un  in  mente  [...]"[25]. L'opposizione  concreto/astratto non è  più  sostenibile per Carabellese, come non è più sostenibile una duplici­tà  di concretezza, "[...] quella della mente che ha  in sé le cose astratte universali e quella dell'essere  che ha  in sé le cose concrete singolari [...]"[26], come  Kant ha dimostrato. Anche nella Risposta a Carlini, in Appen­dice  all'Idealismo  italiano, Carabellese  ritorna  sul concetto di Concreto, intendendolo come essere integrale della  Coscienza,  un concreto il cui  essere  oggettivo deve  essere  espresso nei giudizi  sintetici  a  priori metafisici di cui Kant sentiva l'esigenza, ma che secon­do Carabellese non poteva più trovare, avendo  identifi­cato  l'oggettività con la fenomenicità[27]. La   coscienza concreta  o Concreto  comprende in sé sia dal  punto  di vista  metafisico-soggettivo  sia  dal  punto  di  vista metafisico-oggettivo  e l'Universale e il  particolare[28], perché è "[...] l'individuazione soggettiva, cioè molte­plice, dell'Idea, coscienza oggettiva, cioè unica."[29]. Nella  chiusa dell'opera Che cos'è la filosofia?,  Cara­bellese esplicita cos'è la concretezza di Coscienza: non l'astratta unilateralità che la filosofia ha secondo lui sinora professato, e che ha fatto sì che si privilegias­sero  a  turno la ragione o l'intuizione,  la  realtà  o l'idealità  dell'essere, l'esperienza o le  idee,  ecc.[30]. Tutti questi non sono che lati dell'essere, quell'essere che  la coscienza (soggettiva) sa e non può  non  sapere nella  sua continua ricerca, quell'essere che è  la  Co­scienza intesa come "infrangibile e insuperabile concre­tezza", "motivo profondo di tutto lo sviluppo del  filo­sofare e del credere umano", che qualunque cosa  sappia­no, sanno sempre l'Essere[31] , cosicché   "L'Essere sa, il sapere è. Ecco il concreto."[32]. E, così apportando anche un contributo alla definizione della sua propria filoso­fia, Carabellese chiarisce: "Questo voglion dire ontolo­gismo critico, idealismo ontologico, concretismo,  idea­lismo  concreto,  ecc.; espressioni  tutte  che  voglion tutte porre [...] il fondersi, nella coscienza, dell'es­sere  e  del  sapere, a costituire  la  spiritualità  di quell'essere del quale la natura, col suo divenire, è il fenomeno."[33]

 

4. I caratteri della Coscienza: spiritualità ed eternità

Proprio perché la Coscienza è inscindibile rapporto  tra Essere e Sapere, essa è spiritualità: "[...] per essere, non  c'è bisogno di uscire dal sapere; per  sapere,  non c'è bisogno di un'attività che non sia lo stesso essere. Cioè:  l'essere è spiritualità."[34] Ancora,  l'essere-come-Coscienza è "[...] concreta spiritualità, al di  là della  quale nulla è ammissibile o concepibile mai."[35]  Di  questa  spiritualità l'uomo è partecipe,  ma  mentre l'umanità si identifica nella sua essenza con la  spiri­tualità  - per  cui Carabellese può dire che  l'uomo  in quanto pensante è eterno perché partecipa  dell'eternità della  spiritualità -, la spiritualità non si  esaurisce nell'umanità,  perché altrimenti si avrebbe  nient'altro che  una  divinizzazione dell'uomo o  una  umanizzazione dello Spirito, soluzioni che ambedue Carabellese  rifiu­ta, riconfermando in ciò il suo antiumanesimo[36]. Carattere  della  spiritualità è l'eternità[37]:  proprio perché la latitudine che Carabellese dà alla coscienza è metafisica,  questa  "non nasce e non muore",  ossia  ha come suo carattere l'eternità, perché "[...] è  impossi­bile costringere la coscienza entro i termini del nascere e del morire."[38] La sua affermazione di una Coscien­za come ambiente omnicomprensivo infatti non poteva  che implicare che la Coscienza travalica la vita del singolo soggetto, il quale più che "avere" la coscienza come sua proprietà, "è" della Coscienza come sua espressione: non è  possibile identificare Coscienza e vita né nel  senso di  esistenza del singolo né nel senso di vita del  sog­getto perché la Coscienza come ambiente  omnicomprensivo ha  una  valenza metafisica che oltrepassa  la  vita,  è un'ulteriorità spirituale che trascende tutti i  singoli soggetti,  e il compito che il filosofo si dà è  di  evi­denziare la Coscienza nella sua purezza non asservita al vivere,  la superiorità dell'essere sul fenomeno,  della Spiritualità  nella  sua  forma assoluta  che  fonda  le diverse forme di spiritualità cui è intrinseca[39]. Nel mettere in evidenza i pericoli dell'equivoco  consi­stente nell'identificare Coscienza e vita, equivoco  che conduce a subordinare quella a questa rendendo finita la coscienza  la  cui  eternità  invece  Carabellese  vuole riaffermare,  egli  argomenta che certamente la  vita  è Coscienza, ma che questa non si esaurisce in quella, che anzi  condiziona[40]. La vita è per  Carabellese  fenomeno che la Coscienza pura ricomprende in sé come sua espres­sione,  ed  è dal fenomenismo  come  pericolo  implicito nell'identificazione di Coscienza e vita che Carabellese intende  distaccarsi.  Carabellese,  in  questo   stesso discorso  inedito  del 1941 poi stampato  nella  seconda edizione  del 1942 di Che cos'è la filosofia?, ossia  in pieno  periodo  metafisico, fa una distinzione  tra  co­scienza  pura, che noi definiamo Coscienza, e  coscienza concreta:  questa  è la chiave per  comprendere  la  sua concezione metafisica della Coscienza nel suo complesso. Infatti  afferma: "[...] [il] filosofo, [...] col  reli­gioso,  mette in evidenza la purezza della coscienza,  e quindi  la  superiorità del sapere a priori  sul  sapere empirico,  la incondizionatezza condizionante del  primo riguardo al secondo; mette cioè in evidenza la  superio­rità dell'essere al fenomeno, dà alla coscienza concreta l'esigenza della sua purezza."[41]. Al di là della  sottoli­neatura del compito del filosofo, e al di là pure  della sopravvenuta, rispetto al 1914 de L'Essere e il problema religioso  cui prima ci si riferiva,  rivalutazione  del rapporto  tra filosofia e religione vista non più  dalla prospettiva  della mera rappresentazione ma  "nella  sua purezza", nonché anche al di là dell'importante  distin­zione tra sapere a priori e sapere empirico, ciò che  ci preme di sottolineare qui, pur nell'importanza di queste altre  quattro argomentazioni racchiuse in questa  densa frase  carabellesiana,  è l'articolazione  del  problema della Coscienza. Vi è dunque una "purezza della coscien­za",  che noi distinguiamo terminologicamente  come  Co­scienza,  vi è una coscienza concreta, che è quella  cui fa  riferimento Semerari quando parla di  concreto  come "formazione coeva del dato e della forma" o "concrescen­za  materiale/formale" di derivazione masciana, e vi  è, non   detta  ma  implicita  nel  concetto   di   "sapere empirico",  una coscienza empirica: è ovvio che solo  le prime due hanno valore metafisico, ed infatti solo delle prime  due  Carabellese qui parla. La Coscienza  o  "co­scienza nella sua purezza" è la Coscienza come  ambiente omnicomprensivo, la Coscienza nella sua spiritualità che tutto  avvolge, o meglio, che è tutto, e al di là  della quale  non è nulla. La coscienza concreta è il  Concreto dal  punto  di vista del soggetto, ossia  dal  punto  di vista, limitato e relativo, della "formazione coeva  del dato  e della forma dell'esperienza":  questa  coscienza concreta  ha esigenza della sua purezza.  Ciò  significa che il punto vista del soggetto, limitato e relativo pur nella  concretezza della sua esperienza, tende verso  la purezza  della propria coscienza. A questo compito  con­creto,  quello  di purificare la  coscienza  soggettiva,  sono chiamate la religione e la filosofia, nelle persone del religioso e del filosofo. Ma non solo a questo,  che è  un compito, seppur ecumenico, secondario.  Essi  sono chiamati  a  "mettere in evidenza la purezza  della  co­scienza",  la coscienza pura, la Coscienza o Concreto  o Essere-Sapere, che fonda il sapere a priori del  sogget­to, ma soprattutto che è uno dei livelli dell'Essere.

Nel definire la sua concezione della Coscienza, Carabel­lese   non  poteva non prendere le  distanze  da  quelle correnti  che secondo il suo punto di vista non  colgono la concretezza della coscienza, e che perciò cadono  nel fenomenismo: sia lo spiritualista - compreso lo "pseudo-cristiano del <<pulvis et umbra sumus>>"[42] - "[...]  che esclude  da questo mondo di carne la  spiritualità  vera perché la pone soltanto in un mondo eterno incontaminato dal tempo e dalla corporeità [...]"[43], sia il materiali­sta  che nega la spiritualità e vede il mondo  materiale come  eterno  sono per  Carabellese  incoerenti,  perché affermano la spiritualità come carattere della coscienza empirica, l'uno ponendola in un al di là, l'altro negan­dola.

Ma se i primi obiettivi polemici di Carabellese non solo in quest'opera sono il materialismo, che nega il primato dello  spirito  sulla materia, e lo  spiritualismo,  che pone  la  spiritualità nell'empiricità,  pure  egli  non poteva,  come abbiamo gia  accennato  altrove, non prendere le distanze anche dall'esistenzialismo, che "[...]  condanna  gli enti finiti al nulla,  alla  morte come  loro vero essere, e tra questi enti finiti pone  i pensanti  e  i  riflettenti come tali,  i  quali  quindi invano possono, vivendo, tentare l'accesso  all'essere."[44] La  critica  carabellesiana  all'esistenzialismo  si incentra dunque sulla concezione della soggettività, che l'esistenzialismo  vede come esistenza finita che si  fa pessimisticamente un essere per la morte, e  Carabellese considera  come  soggettività pensante  che  vive  nella Coscienza anche al di là della morte[45]. Questo il  senso del  "pensante  che vive" contrapposto al  "vivente  che pensa", cioè a una dimensione fattualistica e  naturali­stica dell'esistenza. La Coscienza insomma non può essere assoggettata né alla vita  né  all'altra vita: vi è una sovranità  della  Co­scienza che è altra cosa dalla vita, e, come lo  Spirito[46], è eterna.

Ma  l'accusa  di  cadere  nel  fenomenismo  che   deriva dall'identificare vita e Coscienza non viene risparmiata nemmeno  all'idealismo hegeliano e neohegeliano,  perché “ E’  altra la via che bisogna prendere [...]. La via  ce l'addita  la concretezza di coscienza [...]  mostrandoci l'ontologicità  della  coscienza  concreta.  Rifugiarsi, come  fanno  l'hegelismo e il  neohegelismo,  rifugiarsi nella  consapevolezza  antinomica  del   divenire,   per evitare il crudo materialismo da una parte e il trascen­dente  spiritualismo dall'altra, è cadere nel  fenomeni­smo,  e  togliere alla coscienza  l'esigenza  della  sua purezza. [...] Bisogna abbandonare Hegel nel suo assurdo tentativo di chiudere la coscienza nel divenire, risali­re  a  Kant, che richiede a fondamento  della  coscienza empirica  del  divenire (fenomeno),  la  coscienza  pura dell'essere  (noumeno), e da questa  richiesta  kantiana prendere le mosse."[47] Carabellese  dunque vuole soprattutto affermare  che  la Coscienza, come coscienza pura, è, non diviene, e perciò se dal lato del soggetto "[...] 1) la coscienza non  può essere  identificata  con la vita, perché  essa  importa sempre  una affermazione di costanza, di  sostanzialità, di  durata eterna irrisolubile nel diveniente, nel  suc­cessivo,  qual  è il vivere chiuso tra il nascere  e  il morire; [dal lato della coscienza nella sua purezza,  la Coscienza]  2)  la vita che diviene non esclude  la  co­scienza  che  è,  perché la  stessa  consapevolezza  del fenomenico  vivere  ha a  fondamento  quell'affermazione dell'eterno, che costituisce la purezza della coscienza, cioè la coscienza in sé e per sé."[48]

  

5. I "distinti" della Coscienza: il Principio e i termi­ni

La  Coscienza  metafisicamente intesa  ha  generato  non pochi  equivoci nella critica meno attenta non  soltanto per la confusione cui può dar luogo tra livello  metafi­sico, livello trascendentale e livello gnoseologico,  ma anche perché Carabellese ce la presenta sul piano  meta­fisico, come abbiamo cercato di mostrare, con una molte­plicità di forme la cui reciproca implicazione e distin­zione  comporta non pochi problemi. Da un  lato  infatti per  Carabellese  la Coscienza  è  inseità  dell'essere, coscienza-identità dell'Essere in sé, unicità del  Prin­cipio,  dall'altro, concretamente, secondo il senso  che questa concretezza ha in Carabellese, è anche  moltepli­cità dei soggetti esistenti in relazione tra loro e  che hanno immanente in se stessi quello stesso Principio"[49]       Carabellese,  con  un linguaggio che  in  prima  istanza risulta piuttosto ostico anche per la compresenza di più termini  per uno stesso concetto e di più  concetti  per uno stesso termine, tutti compresenti, chiama queste due forme  dell'essere, sul piano metafisico,  i  "Distinti" della Coscienza, Principio e termini, sul piano trascen­dentale dell'Io penso kantiano le  "condizioni  trascen­dentali"  della  Coscienza, sul piano  gnoseologico  del soggetto "oggetto e soggetto, inseparabili" del  Concre­to[50].  I  due distinti dell'essere sono, sul  piano  metafisico della  Coscienza  o Concreto,  "[...]  l'una  (l'Oggetto puro) Principio, l'altra (i soggetti puri) termini della concreta  coscienza  (che non è mai  autocoscienza),  da essi costituita come individuazione." Questa  individua­zione  della  Coscienza o Concreto che sono  i  soggetti puri come termini della Coscienza stessa è un'individua­zione,  dal  lato dei soggetti, "[...]  dell'oggetto  in soggetti,  del  Principio in termini.".  Vi   è  dunque, all'interno  della  Coscienza o Concreto  come  ambiente omnicomprensivo  al di là del quale non vi è nulla,  una linea retta verticale che unisce il Principio e i termi­ni,  o meglio il Principio e ciascun  termine:  infatti, afferma ancora Carabellese, "Principio e termini,  però che  non escono dalla coscienza, e perciò, presi in  una assoluta separazione, sono astratti."[51] Quindi il Concreto o Coscienza richiede sul piano  meta­fisico  sia l'unicità che la pluralità, sul  piano  tra­scendentale sia l'universalità che la particolarità, sul piano  gnoseologico  sia l'oggetto che  il  soggetto[52]. E' infatti questa duplicità di unicità e pluralità  della Coscienza  nella loro correlazione che  rappresenta  per Carabellese  la  concretezza  nei  suoi  diversi  piani, Concreto che sul piano metafisico significa ad un deter­minato  livello unità del Principio e  molteplicità  dei soggetti,  per  cui  l'Uno è dei molti e  i  molti  sono dell'Uno. La  Coscienza nella sua concretezza non è  scissione  ma implicazione di essere e pensiero.  Ma riferiamoci  alla lettera  carabellesiana per mettere in  evidenza  questa inscindibilità di Essere e Sapere, in un luogo della sua opera  in  cui, ancora una volta  riferendosi  al  piano  della coscienza soggettiva ma al livello del sapere, non della  conoscenza,   sembra  riecheggiare  la  coscienza intenzionale  husserliana nel mentre si pone  sul  piano metafisico del sapere a priori e dell'Essere in sé: "Chi sa,  sa  qualche cosa. Non è  eliminabile  il  <<qualche cosa>>,  come non è eliminabile il <<chi>>  dal  sapere: <<qualche  cosa>>,  e  <<chi>>,  cioè,  in  ogni   caso, <<essere>>.  Perciò,  in generale, il sapere è  un  mio-sapere-l'essere-in-sé, in cui il <<chi>> si è puntualiz­zato nell'essere singolare che sono io (unico di tanti), e  il <<qualche cosa>> si  universalizzato  nell'essere unico che è in sé (unico per tanti). Il sapere è un  mio sapere.  Nel  sapere  c'è, ed  è  ineliminabile,  questa puntualizzazione soggettiva che sono io, questa  univer­salizzazione oggettiva che è l'essere in sé. Questa,  in genere, è la coscienza."[53] Mentre  sul piano metafisico la Coscienza  come  Essere-Sapere  costituisce  uno  dei  livelli  dell'Essere  che Carabellese  veniva elaborando nel suo ultimo periodo  e che quindi erano sottintesi, attraverso la teoria  della Coscienza intesa come un Essere-Sapere, un Sapere che  è e  un Essere che sa, Carabellese  si propone  esplicita­mente  di superare sul piano gnoseologico  la  scissione dualistica  del  realismo tradizionale  tra  soggetto  e oggetto e sul piano trascendentale la frattura dualisti­ca tra essere e pensiero. Ma si propone anche di operare questo  superamento non  privilegiando  alternativamente uno  dei  due termini del dualismo, come  fanno  secondo Carabellese  e il realismo e l'idealismo, bensì  conser­vando  ambedue  i termini, l'oggetto e  il  soggetto,  e facendoli  interagire sia sul piano gnoseologico sia  su quello  trascendentale  sia su quello  metafisico  della Coscienza. Questa infatti, sul piano trascendentale dell'Io  penso,  implica  strutturalmente come  altrettanto  cooriginari, come  suoi apriori o condizioni trascendentali, un  sog­getto e un oggetto - Carabellese dice un chi e un  qual­che  cosa[54] - ambedue altrettanto necessari  a  che  un sapere  si  dia. Ora però il chi è  sempre  un  soggetto singolare, un soggetto tra altri, tra tanti. Ciò sembre­rebbe empiricizzare la Coscienza riducendola a coscienza soggettiva, singolare: ma ciò che fa fare a  Carabellese il salto dal piano soggettivo al piano trascendentale  è il "qualche cosa". Mentre il soggetto della Coscienza  è sempre particolare, l'Oggetto è l'universale, è l'Essere in  sé  che è unico per tanti. Questo essere per tanti consente a Carabellese sul piano metafisico  di opporsi al realismo, in  quanto  l'essere non  è mai scisso dal sapere come morto essere  inattivo separato dualisticamente dal sapere e posto come  origi­nario rispetto a questo. Ma consente anche di opporsi  a quell'idealismo  che,  dice Carabellese,  da  Platone  a Hegel  semplicemente  rovescia  il  dualismo  affermando l'originarietà del sapere invece che dell'essere, mentre viceversa "[...] l'essere (mio e in sé) non è scindibile dal sapere (anch'esso mio e in sé), e così reciprocamen­te."[55]  

L'origine della polemica  solo  apparentemente gnoseologica sulla separazione dualistica di soggetto  e oggetto  è qui, proprio in questa concezione  metafisica della  Coscienza come Essere-Sapere:  Carabellese  vuole eliminare la separazione tra essere e sapere, tra essere e  pensiero,  ma conservandone la distinzione  che  sola  può  restituire il Concreto. Perciò pur  nella  polemica col dualismo soggetto-oggetto sul piano gnoseologico cui risponde col concetto di Concreto trasponendo soggetto e oggetto sul piano trascendentale dell'Io penso, conserva la  distinzione  tra i soggetti e  l'Oggetto  sul  piano metafisico della Coscienza.

Ma  -  e qui si chiarisce forse in modo  definitivo  sul piano  trascendentale  il  concetto  carabellesiano   di Concreto  -  ciò che ad un primo  sguardo  sorprende  di questa  concezione della Coscienza come essere  concreto soggettivo-oggettivo è che la concretezza per Carabelle­se consiste proprio nell'essere anche l'oggetto, potrem­mo dire, soggetto di coscienza, come si deduce dal brano che  segue: "Infatti non soltanto l'oggetto è essere  ma anche il soggetto. Perciò il pregiudizio che soltanto il soggetto sia coscienza [sottol. mia] e soltanto l'ogget­to sia essere, pregiudizio pel quale pare che il sogget­to non sia ma sappia soltanto e che l'oggetto non sappia ma  sia  soltanto, non si è inteso nella sua  falsità e superato, quando si è annullato l'essere, che si  diceva oggetto, nella coscienza che si diceva soggetto."[56] E' dall'assunto che l'essere è spiritualità che deriva  con coerente consequenzialità la singolare tesi  dell'essere l'ente-cosa anch'esso spiritualità, e ancor più, sogget­to,  così come i soggetti sono anche oggetti. Ora, se  è comprensibile  che  il soggetto divenga  anche  oggetto nella  distanza  conoscitiva, che  è  oggettivante,  non altrettanto  immediata  è l'idea che  gli  enti-cose,  e dunque  la  natura  nel suo  complesso,  siano  soggetti dotati di spiritualità, peraltro difficilmente   esperi­bile  nel  campo dell'esperienza empirica, per  cui  noi vivremmo immersi in un mondo di enti spirituali non solo umani  che  ci parlano in un loro linguaggio  silenzioso da ascoltare e decifrare - qui la consonanza con la tesi jaspersiana della possibilità di far assurgere qualunque cosa o evento alla dignità di cifra della trascendenza è evidente,  anche se Jaspers considera la cifra dal  lato di  un soggetto che legge la realtà come  manifestazione della  trascendenza, mentre per Carabellese  si  tratta, abbandonando  la  cautela critica del "come  se"  insita nella  cifra  soggettiva jaspersiana,  di  un  carattere metafisico della realtà che ci viene incontro nella  sua oggettività spirituale che non solo ci testimonia  della trascendenza, ma anche ci fa comunicanti in una corrente di spiritualità che attraversa e unifica tutto l'univer­so, sua manifestazione: qui l'immanentismo di Carabelle­se  prende  il  sopravvento sul  trascendentismo  di  un Principio  inesauribile che si pone sempre al di  là  di qualunque  sforzo soggettivo di oggettivazione e  dunque di limitazione, e il suo idealismo si sposa, o almeno si avvicina,  a quelle correnti della filosofia della  vita che  come Bergson vedono l'universo come espressione  di una forza spirituale. 

Nonostante risulti comprensibile alla luce di quello che inteso in senso letterale è lo spiritualismo di Carabel­lese, la sua tesi dell'oggetto di coscienza al pari  del soggetto appare dunque in prima istanza sorprendente. Ma la sorpresa si attenua se si pone mente al fatto che nel concretismo rigoroso, ossia sul piano di quella "concre­scenza  materiale/formale" di cui parla Semerari,  l'og­getto, dal punto di vista gnoseologico, appunto  concre­sce  col  soggetto in modo coevo  nell'esperienza,  che, come  esperienza  di  secondo  grado  aperta  e  guidata dall'intellectus  fidei,  dà  senso a  tutta  la  realtà intesa non nel senso empirico del termine, ma nel  senso del realismo scolastico. Inoltre,  sul piano metafisico, quella  stessa  sorpresa scompare  se  si intende che l'oggetto di  coscienza  di Carabellese non è né l'oggetto del realismo  tradiziona­le,  né l'oggetto della conoscenza, anche concreta:  sul piano metafisico cui si accede con l’intellectus fidei è Dio,  che  come Oggetto unico di coscienza  permette  il consentire di tutti i soggetti in esso. Infatti:  "[...] nel rigoroso ontologismo, [...] la coscienza è lo stesso essere  [...]  il soggetto, chiudendosi  come  io  nella coscienza  pura, può e deve sentire in tale sua  purezza l'Essere assoluto come Oggetto puro della sua coscienza. [...]  Noi, molti io, sappiamo Dio, l'Unico."[57] Perciò l'Oggetto è immanente al soggetto, la Verità è  immanente alla  certezza, l'Essere ideale è  immanente  all'essere spirituale.

Forse il punto in cui Carabellese apparentemente più  si distacca dalla dottrina cattolica, implicitamente senti­to dalla critica neoscolastica[58],  non è tanto la  negaz­ione  dell'esistenza  di Dio come personalità,  l'una  e l'altra  abbiamo visto essere attribuite a Dio solo  per analogia,  ma quello per cui nel suo pensiero Dio non  è mai  teorizzato come soggetto di amore, ma  sempre  come oggetto  di  amore, Oggetto di coscienza. Ma  si  tratta appunto  di  un'apparenza, dal momento che,  se  si  può affermare  con sicurezza che il Dio  carabellesiano  so­stiene  l'essere, realtà spirituale intesa come  espres­sione  della presenza di Dio e sua manifestazione,  pure questa  presenza, nonostante la sua non  soggettività  e non personalità, entra in rapporto personale diretto con i  soggetti che lo adorano e lo ricercano, non  soltanto dal punto di vista soggettivo come Oggetto di  coscienza di  adorazione religiosa e di ricerca filosofica, e  dal punto  di vista metafisico del rapporto tra Principio  e termini  nella Coscienza o Concreto, ma anche dal  punto di  vista  ontologico della  costituzione  stessa  della coscienza  soggettiva.  Intendo  dire  che  il  concetto carabellesiano di Dio Oggetto di coscienza  dei soggetti non fa riferimento solo all'aspetto psicologico per  cui Dio  si  pone, come per Platone, come oggetto  di  amore (religioso e filosofico) consapevolmente ricercato -  il che  escluderebbe dalla dignità di pensanti  coloro  che non credono o non ricercano, come in alcuni passi  Cara­bellese perentoriamente afferma - ma implica pure, ad un livello  metafisico, l'essere Dio costitutivo della  co­scienza dei soggetti anche al di là della consapevolezza di questo o quel soggetto - il che restituisce a tutti i soggetti, se non la dignità di pensanti nel senso  forte che Carabellese attribuisce al termine, almeno la digni­tà  di persona[59], tema questo che Carabellese  condivide con  tutto  il  pensiero cattolico. Dio è  Oggetto  puro perché  appunto  è condizione di possibilità  della  co­scienza  soggettiva,  è l'apriori e  il  presupposto  di essa, è ciò (Oggetto) per cui la coscienza soggettiva  è coscienza,  in questo senso è universale  e  necessario, anche se non necessariamente consapevole in ogni sogget­tività.  Oggetto di coscienza allora Dio a due  livelli, l'uno soggettivo-psicologico, l'altro  oggettivo-ontolo­gico,  laddove quest'ultimo si identifica  con  l'essere Dio realtà spirituale costitutiva dell'essere.

In  queste parole è a nostro parere leggibile già  nella Critica del concreto il sistema metafisico che  Carabel­lese espliciterà poi ne L'Essere, e di cui apparentemen­te manca una parte, la prima: si ponga attenzione, nella Coscienza  come essere concreto, al rapporto  diretto  e orizzontale tra Oggetto puro, Dio, e Soggetto puro, l'Io penso:  "Quando  si abbia presente il  concetto  critico dell'essere concreto della coscienza, pel quale l'ogget­to  puro  deve essere coscienza come  il  soggetto  puro [sottol.  mia],  si vede che   caratteristica  del  puro soggetto è la singolarità plurima, e questa, in  quanto tale  non è né il principio dell'attività, né la  stessa attività concreta, ma soltanto l'individuarsi, il singo­larizzarsi di questa."[60] Ciò significa che  la Coscien­za ha, sul piano metafisico, come sue condizioni  sia la Soggettività  pura, l'Io penso, che l'Oggettività  pura, Dio,  e  dalla  prima, l'Io penso  come  Soggetto  puro, discendono i soggetti singolari plurimi come suo  singo­larizzarsi,   sua  individuazione: la  molteplicità  dei soggetti nel loro reciproco rapporto fondato da un  lato sul Soggetto puro, dall'altro sull'unicità  dell'Oggetto immanente in essi e trascendente rispetto sia a ciascuno di essi in verticale, sia al Soggetto puro in orizzonta­le, non è, afferma Carabellese, né il Principio dell'at­tività, che è Dio come Idea, né l'attività stessa, che è la  Coscienza  come  Concreto, che anch'essa  sta  lì  a indicare l'individuazione della Coscienza.

Queste condizioni pongono infatti in verticale  nell'es­sere-coscienza  una  distinzione  intrinseca,  tra   me, "indispensabile termine plurimo infinito dell'essere", e Dio,  "[...]  indispensabile Principio unico  eterno  di esso.  E'  questo essere, quello che io dico  essere  di coscienza  puro;  ed è l'essere concreto. Ed è  il  solo vero essere [...]."[61] In queste poche parole sono conte­nute molte delle concezioni carabellesiane  sull'essere, apparentemente tutte poste sullo stesso piano:  l'Essere come Principio, che è l'Uno neoplatonico, il suo rappor­to indispensabile con il soggetto come termine, soggetto che  è infinito nel senso che non nasce e non  muore,  e che  è  plurimo nel senso che è molteplice,  che  non  è singolare  ma plurale, ossia che vi è una  pluralità  di soggetti  tutti termini di quell'Unico eterno, Dio,  che in  quanto Essere di Coscienza puro, è il  Centro  della Coscienza  come  ambiente omnicomprensivo, e  in  quanto Puro della Coscienza, è Idea.

Ma  quale  rapporto  lega i  distinti  della  Coscienza? Caratteristica della Coscienza come Concreto è quella di essere  attività, il che comporta l'assoluta  estraneità dell'ontologia carabellesiana rispetto alle tradizionali ontologie dell'essere: non un essere statico, morto,  ma un'attività  come  per Spinoza, attività dotata  di  co­scienza, per cui Carabellese può dire che essere è fare, è sapere[62]. Questa attività, dal momento che i  distinti della Coscienza sono i soggetti e l'Oggetto, è al  tempo stesso soggettiva e Oggettiva[63], cosicché  concretamente concepita l'attività risulta dei "[...]molti agenti  con unico principio. Il valore dei soggetti sta in quell'es­sere,   come  agenti,  molti;  il  valore   dell'oggetto nell'essere,  come principio di attività, unico."[64] Ma qui evidentemente non siamo più nell'ambito gnoseologico del rapporto tra enti-io ed enti-cose, poiché, posto che  l'Oggetto  è   "[...]  immanente  principio  della  pura attività."[65] della Coscienza, il quale  come  Principio interno alla Coscienza è suo motore e radice, ci trovia­mo invece sul piano dell'intersoggettività interna  alla Coscienza,  dove  i soggetti sono i  termini,  anche  in senso  letterale  sia  di compimento  del  percorso  dal Principio ai termini sia di articolazione della Coscien­za, della Coscienza stessa: "I soggetti così nella  loro pluralità   sono  i  veri  termini  (attiva   relazione) dell'essere concreto; l'attività si svolge tra soggetti, pur  essendo  sempre,  essa,  esplicazione  dell'oggetto unico universale implicito in tale loro attiva relazione come oggettivo suo principio sostanziale."[66] La Coscien­za è allora come Concreto attività concreta che  importa dentro  di  sé un rapporto tra  soggetti,  rapporto  che trova nell'Oggetto il suo Principio costitutivo immanen­te. Il rapporto intersoggettivo non è con l'Essere  (che lo   racchiude),   né   con   l'Oggetto   (ché   sarebbe soggettivo), dice Carabellese, ma nell'Essere e nell'Og­getto: il rapporto è tra i soggetti tra loro, che appun­to per questo essere sempre costitutivamente in rapporto tra loro sono relativi e reciproci. L'altro del rapporto non  è l'Oggetto[67], ma l'altro soggetto, dal momento  che l'Oggetto  non può essere l'altro perché è immanente,  e come Unico, è ciò in cui quei singolari di Coscienza  si costituiscono  come soggetti pensanti  in  comunicazione tra  loro. Carabellese rifiuta il concetto  di  soggetto come sostanza, perché considera la sostanza come  Essere in  sé e, in quanto tale, la attribuisce soltanto a  Dio come  Idea.  Il mio essere, dice Carabellese, è  il  mio essere  in  altro: io non sono sostanza, non  sono  cioè chiuso in me stesso ma aperto agli altri nella  prodiga­lità  che attua la sostanza[68], e in questa apertura  alla comunicazione[69] io non sono autocoscienza perché  rimar­rei chiuso in me stesso[70]. L'io è allora per Carabelle­se  termine, ossia uno dei tanti, ciascuno dei  quali è singolarità  penetrativa,  ossia  correlativa  a  quella degli altri io, che sono relativi come me e che  trovano il fondamento della loro relazione nel Principio,  ossia in  Dio,  immanente  come Oggetto in  ogni  relazione  e fondante la reciproca comunicazione. Io sono indispensa­bile alla Coscienza, cosicché ciascuno degli io è  iden­tico a ciascun altro: "[...] io, nella mia indispensabi­lità  alla coscienza, sono identico ad ogni  altro,  non finito  da ogni altro e perciò infinito e pur  plurimo."[71] Questa identità di ciascun io con tutti gli altri  è fondata nel fatto che tutti sono con-sapevoli:  Carabel­lese dà a questo termine il significato letterale di  un con-sapere, di un sapere insieme, il cui "che cosa",  il cui Oggetto, è Dio.

Ma tutta questa concezione carabellesiana della Coscien­za  non  si comprenderebbe se non si  ponesse  mente  al continuo  traslitterare di piano che  Carabellese  opera tra gnoseologia e metafisica: voglio dire che una  piena comprensione dell'argomentazione carabellesiana è impos­sibile  se non tenendo compresenti tutti i piani che  si pongono tra questi due livelli di cui il primo è  quello metafisico, e ponendo attenzione al fatto che Carabelle­se  usa contemporaneamente il linguaggio che  appartiene ad  ambedue,  avvalendosi  delle  relative  implicazioni semantiche e anzi giovandosi della loro interazione.  Mi spiego. I soggetti sono molteplici, relativi e  recipro­ci,  l'Oggetto è l'Essere in sé unico in cui tutti  quei soggetti convengono[72], la Coscienza è ciò al di fuori di cui non vi è nulla: queste affermazioni rimangono freddi e morti assiomi che risultano incomprensibili se non  si fanno interagire contemporaneamente il piano gnoseologi­co, il piano trascendentale e il piano metafisico.

Ed  infatti   questa concezione  della  "coscienza"  che continuamente  passa  dal piano  gnoseologico  a  quello ontologico  e  viceversa  come  presenza  effettiva  nei soggetti e tra i soggetti dell'Oggetto ad essi immanente  non poteva non dar luogo  alla polemica che  Carabellese porta avanti nei confronti di  quel modo di concepire il rapporto soggetto-oggetto da lui definito dello  gnoseo­logismo intellettualistico.

Ma,  prima  di affrontare la  questione  della  polemica carabellesiana  nei  confronti  del  dualismo  soggetto-oggetto, forse nella maniera più chiara il rapporto  che lega  nella  Coscienza, i soggetti  all'Oggetto,  ma  al tempo  stesso  la continua oscillazione di  piano  dalla gnoseologia  alla metafisica, viene alla luce in  questo brano: "Il concreto è quell'organicità spirituale in cui noi viviamo [...] è l'individuazione molteplice di  quel quid  unificante [...] Nella positiva  coscienza  invece noi  troviamo  un Oggetto che è  ideale  proprio  perché oggetto; e dei soggetti, che, proprio perché consapevole spiritualità,  sono  reali. Questi  soggetti  realizzano l'Oggetto  ideale;  quell'Oggetto sostanzia  i  soggetti reali, giacché è  l'Essere in sé. L'Essere in sé, con  la sua  ideale  oggettività,  è  il  principio  costitutivo dell'essere relativo con la sua reale soggettività, ecco [...] la coscienza concreta [...]"[73]. In  questa concezione carabellesiana della  Coscienza  e del rapporto tra i soggetti nei confronti  dell'Oggetto, Semerari  individua il grande debito che Carabellese  ha verso Kant, nonché il motivo profondo che a lui lo lega. Ricordando  come  per Carabellese Kant  rappresenti  una tappa  fondamentale nell'elaborazione della sua  Critica del  Concreto,  Semerari mette in  evidenza  quale  Kant costituisca  per  Carabellese un punto  di  riferimento. Certamente il Kant che afferma l'inesauribilità dell'es­sere  o cosa in sé rispetto alla conoscenza, ma  soprat­tutto  il Kant che senza accorgersene imposta  il  nuovo problema  della filosofia, la Coscienza nella  sua  con­cretezza strutturale, che implica universalità e  singo­larità,  oggettività e soggettività, Dio e io. Con  Kant l'oggettività  diviene  il  luogo  dell'identico  insito nella  coscienza dei singoli, ciò che rende  questa  co­scienza universale e necessaria. Con Kant secondo  Cara­bellese si attua il passaggio dalla filosofia del  cono­scere  alla  filosofia della Coscienza e  del  Concreto, passaggio che peraltro la filosofia dopo Kant ha  travi­sato  e  dimenticato. Sebbene Kant, con  un  pregiudizio precriticistico,  non  abbia  saputo  rinunciare  ad  un Essere in sé fuori e al di là della coscienza, e non  si accorge che l'oggetto è da lui posto come universalità e necessità della Coscienza e non come suo al di là,  pure pone la Coscienza come unico orizzonte del filosofare, e così facendo apre la strada a quell'inglobare gli ogget­ti metafisici per eccellenza (Dio, Io e il mondo)  nella Coscienza  stessa che opererà Carabellese, intesi  quali oggetti  a un tempo immanenti alla coscienza  perché  ad essa intrinseci come apriori metafisici di ogni concreto sapere e fare, e trascendenti perchè da essa inesauribi­li in ogni concreto sapere e fare. Con Kant la Coscienza diviene   il  consapere  che  i  molti  soggetti   hanno dell'unicità dell'Oggetto, il quale si pone allora  come il  fondamento e il principio della Coscienza di  cui  i molti soggetti sono i termini esistenziali, e in  quanto esistenziali singolari[74]. Pur riconoscendo  l'importanza e l'incisività dell'analisi di Semerari del passaggio da Kant a Carabellese, non possiamo, alla luce della stessa lettera  carabellesiana  più  volte  sottolineata,   che dissentire  su  quel  limitare i  soggetti  ai  soggetti esistenziali (anche a partire dalla polemica  carabelle­siana con l'esistenzialismo), che rende il termine  esi­stenziale in Carabellese estremamente riduttivo rispetto alla sua concezione del soggetto, e dunque da  adoperare con estrema cautela.

  

6. La polemica contro il dualismo soggetto-oggetto

Il  porre  la questione della Coscienza su di  un  piano metafisico,  dandole la latitudine amplissima che  si  è cercato di restituire, costituisce l'aspetto positivo di una  riflessione  che conduce più  volte  Carabellese  a polemizzare con la considerazione che vuole la Coscienza posta sul piano gnoseologico come proprietà del  sogget­to,  e  a prendere perciò  posizione,  apparentemente  a partire  da  questo punto di vista, contro  il  dualismo soggetto-oggetto[75].

Secondo Carabellese, è comune a tutte le dottrine  filo­sofiche  la concezione dualistica del mondo  secondo  la quale ad un insieme di enti separati tra loro che costi­tuiscono  il  mondo oggettivo, o natura,  si  oppone  un soggetto di fronte al quale sta questo mondo di  oggetti coi  quali egli entra in rapporto soltanto  mediante  la conoscenza, che pertanto "[...] ci fa sapere  l'oggetti­vità: il soggetto non può sapere l'oggetto che  mediante la conoscenza."[76]

 Questo dualismo tra mondo  soggettivo e  mondo oggettivo è implicito per Carabellese anche  in quelle concezioni che sembrano negare uno dei due termi­ni per esaltare l'altro, come, su opposti fronti,  fanno il materialismo, che nega il soggetto come spiritualità, o l'idealismo soggettivo, che nega l'oggetto come  mate­rialità.  Ma  il presupposto della  scissione  soggetto-oggetto  "[...]  è  soltanto necessità  di  un  dualismo realistico  e  non  esigenza di  coscienza.  Infatti  la separazione dei soggetti dagli oggetti e la  conseguente deduzione idealistica di questi da quelli derivano dallo scambiare  l'astrazione  empirica  con  la  concretezza; scambio  che scinde (realismo) o mutila (idealismo  sog­gettivo)  irreparabilmente l'essere nella  sua  concreta attività."[77] La  polemica dunque investe in primo luogo  il  realismo tradizionale,  in cui secondo Carabellese  lo  gnoseolo­gismo trova la sua matrice più profonda quando considera la  realtà come dualismo soggetto-oggetto: è infatti  il realismo  che  oppone a un mondo dentro di me  un  mondo fuori di me[78]. Affrontando la questione dal lato del soggetto[79],  Cara­bellese contesta l'astratta considerazione di un sogget­to conoscente che da un lato si contrappone  dualistica­mente  all'oggetto  conosciuto  -  dualismo  che  deriva appunto  dall'avere scisso essere e pensiero,  essere  e conoscere  -  e  dall'altro che si pone  in  questa  sua determinazione  di  soggetto conoscente  epistemico  che "dimentica" il volente e il senziente: egli non manca di sottolineare che il soggetto è pensante e non  conoscen­te, laddove il pensiero, che è sapere implicito,  inclu­de,  oltre al conoscere, anche il sentire e  il  volere, che  non  possono mai essere scissi  pena  l'astrattezza della  considerazione  del soggetto.  Anche  qui,  nella polemica  contro  un  soggetto mutilato,  torna  la  sua attenzione al Concreto, e la gnoseologia viene  superata da  una concezione del soggetto a tutto tondo che non è conoscenza soltanto ma sapere.

Ma  il  vero nocciolo della questione, e il  vero  punto dirimente  rispetto  al realismo scolastico, è  messo  a fuoco  nella considerazione dell'Oggetto:  "Dire  quindi che 'l'essere, oltre essere nella coscienza come  ogget­to,  deve essere anche in sé come  l'indipendente  dalla coscienza' è soltanto manifestare che non si è penetrata per  niente l'esigenza della concretezza."[80] Sul  piano metafisico, è l'Essere in sé del realismo scolastico che a  Carabellese preme contestare come Essere in sé  indi­pendente  dalla coscienza (soggettiva) che conduce  alla considerazione di un Oggetto scisso dualisticamente  dal soggetto: se si accetta il concetto di Essere in sé  del realismo, sembra voler dire Carabellese, ci si trova poi a dover colmare l'abisso che separa il soggetto e  l'Og­getto,  a  doverne teorizzare la  radicale  separazione. Così come si deve considerare l'Oggetto solo in rapporto al  soggetto, così è necessario considerare il  soggetto solo in rapporto all'Oggetto: è solo nel rapporto tra  i due che si ha la concretezza, ed è impossibile  scindere tale  rapporto  senza  cadere  nell'astrattezza:  "[...] l'essere è concretezza di oggetto nei soggetti."[81] Ma affermare la loro inscindibilità sul piano metafisico significa sorprendentemente, sul piano gnoseologico, che "[...] in concreto il soggetto non è il non-oggetto,  né l'oggetto  è  il non-soggetto; ma bensì  che  oggetto  e soggetto  sono inseparabili nell'essere  concreto,  cioè l'ente-io,  perché sia tale, deve essere anche  oggetto. [...]  che io, in quanto io, sono un soggetto  e  perciò non  oggetto, e che le cose [...] sono oggetto e  perciò non  soggetto,  è falsa."[82] Dunque,  sorprendentemente, anche  l'ente-cosa  è  per Carabellese  soggetto,  ed è soggetto  perché,  coerentemente con  la  sua  posizione ontocoscienzialistica, nulla è fuori della Coscienza, di modo tale che "[...] io in qualche modo comprendo  tutti gli  enti, ma solo a condizione che questi,  ciascuno  a suo modo, comprendano me. [...] tutti gli enti,  dunque, [...]  sono soggetti come me, o non sono  neppure  enti, non  sono affatto."[83] In altre parole, è precritica  la posizione del dualismo realistico tradizionale che vuole gli enti-io contrapposti agli enti-cose, ed è falsa.  E' necessario  allora  concepire l'essere  non  secondo  la visione  intellettualistica  della  divisione  soggetto-oggetto, che lo considera come ciò che, esterno all'atto con cui viene colto, si pone di fronte al soggetto  come un  che di estraneo, ma secondo la prospettiva  per  cui l'essere  è  ciò in cui siamo immersi e che  noi  stessi siamo,  dal momento che è "[...] concreta  spiritualità, al  di là della quale nulla è ammissibile o  concepibile mai."[84]  E' possibile scindere soggetto e oggetto,  sia sul  piano  metafisico  sia a  livello  gnoseologico,  e considerarli  in  sé,  ma solo per  via  di  astrazione: "Soggetto, per sé, adunque, è il singolare di coscienza; oggetto, in sé, l'universale di coscienza."[85] Ma  la  polemica più serrata, nella  quale  dal  livello gnoseologico  si  torna  a mettere a  fuoco  il  livello metafisico,  è nei confronti dell'idealismo soggettivo e del suo concetto di autocoscienza universale. A Carabel­lese preme fondare metafisicamente, attraverso la teoria della Coscienza come orizzonte metafisico, per un  verso la  pluralità  dei  soggetti[86],  per  l'altro   l'unicità dell'Oggetto: "[...] ritenere il concreto  autocoscienza universale e unica, è porre fuori del concreto, inespli­cabile, da una parte la coscienza plurima dei  soggetti, e dall'altra l'esigenza unica dell'essere oggettivo.  La falsità sta sempre nella falsa concezione del soggetto e dell'oggetto,  nel  concepire, cioè,  il  soggetto  come coscienza  e  l'oggetto come non coscienza,  sta,  cioè, nell'identificare,  realisticamente,  la  coscienza  con l'io,  che  di essa è soltanto un  distinto  [...]."[87]  Carabellese conduce una lunga polemica contro la pretesa idealistica di riservare la coscienza al soggetto:  essa non  è  una proprietà del soggetto, ma  è  viceversa  il soggetto che, insieme e inseparabilmente dall'Oggetto, è uno  dei  due distinti o termini  della  Coscienza.   Ma altresì  falsa è la posizione  gnoseologica  idealistica che fa dell'oggetto il non-io contrapposto e negato  dal soggetto come contenuto puramente negativo: "[...] né il mondo  oggettivo  [...] può solamente star  lì  a  farsi guardare  (dogmatismo) o porre (idealismo assoluto),  ma deve fare anch'esso [corsivo mio], né il mondo soggetti­vo può essere puro fare, deve, anch'esso, essere."[88]

Così  l'obiettivo  della  polemica  contro  il  dualismo soggetto-oggetto è triplice. Sul piano metafisico, da un lato  nei confronti del realismo scolastico,  contro  il concetto  di  Oggetto  come Essere in  sé  separato  dal soggetto  e  dall'altro  nei  confronti   dell'idealismo soggettivo  contro il concetto di Concreto come  autoco­scienza universale che esclude la pluralità dei soggetti e l'unicità dell'Oggetto, sul piano gnoseologico invece, da un lato nei confronti ancora dell'idealismo soggetti­vo con il concetto di io come autocoscienza e il concet­to  di oggetto come non-coscienza, dall'altro  nei  con­fronti del realismo tradizionale che separa  dualistica­mente  soggetto  e  oggetto. Come si  vede  la  polemica nasce, oltre che dal diverso significato che Carabellese dà  a questi stessi termini che pure usa  mutuandoli  da una  tradizione  filosofica da cui  si  discosta,  dalla diversa  costellazione  in cui li articola in  una,  per usare  la  parola  di Fanizza  e  Semerari,  "struttura" complessa  e  organicamente concepita. A  proposito  del mutamento  di significato cui sottopone concetti  comuni anche  ad  altre correnti filosofiche,  ad  esempio  per quanto  riguarda  l'io,  questo non può  essere  autoco­scienza perché Carabellese intende per  io gli io singo­lari plurimi, che, lungi dall'essere meri fenomeni, sono sempre  coscienza  di  qualcosa,  sul  piano  metafisico coscienza  dell'Oggetto, e dunque rappresentano per  lui uno  dei distinti della Coscienza, come si  può  infatti arguire  da questo brano: l'io come  autocoscienza  "Non può significar nulla, perché l'io, che è  autocoscienza, non  saprebbe  di  che esser coscienza:  perché  ci  sia coscienza, deve nei soggetti coscienti esserci l'oggetto di  cui si è coscienti. [...] io sono un distinto  della coscienza,  ma  non sono la  coscienza  senz'altro."[89] Torna  l'affermazione  recisa  che la  Coscienza  non  è attributo  umano  ma ambiente onnicomprensivo,  e  viene anche alla luce l'esigenza di non appiattire la singola­rità plurima degli io su quell'Io puro cui dedicherà  la seconda  parte de L'Essere, l'Io: questo, senza  i  suoi distinti  io  singolari, non è possibile,  in  quanto  i soggetti singolari, nella loro pluralità, non sono  mera parvenza né hanno soltanto valore empirico, ma metafisi­co. L'altro, più profondo, obiettivo polemico è proprio l'Io puro considerato come Autocoscienza dal soggettivi­smo idealistico, e viceversa considerato da  Carabellese in un'accezione che ne coglie a fondo la portata metafi­sica, ma di quel soggettivismo contesta anche qui, nella Critica del concreto, l'autoreferenzialità.  Carabellese non  può considerare l'Io puro come Soggetto unico  uni­versale,  perché ciò significherebbe appunto, oltre  che annullare  la  pluralità dei soggetti che  egli   invece considera, come carattere dell'Io puro,  metafisicamente costitutiva  della Coscienza, anche divinizzare in  modo assoluto ciò che invece costituisce sì la  trasposizione sul piano metafisico dell'Io trascendentale, ma con  una presa  di  distanza, oltre che rispetto  a  Kant,  anche rispetto  all'Io come Soggetto unico  universale,  ossia senza quegli attributi di universalità e assolutezza che Carabellese considera propri soltanto di Dio.  Ascoltia­molo nella Lezione XXIV: L'unità plurima come  interezza che  apre la Sezione B) Io intero del Capitolo  III:  Io identico  del suo corso inedito del 1946-47 sull'Io:  "E perché  io  sia puro, bisogna che io sia,  proprio  come singolare,  l'unità plurima compatta che è  la  quantità dell'essere. [...] La kantiana unità sintetica appercet­tiva,  per buona volontà che ponga nella  sintesi,  avrà sempre  da fare con frantumi da mettere  insieme.  [...] L'intero  non è un prodotto dell'esperienza, ma un  pre­supposto  di questa. [...] Finché l'unità è  considerata come  categoria, la pluralità è  un assurdo.  [Par.]  86) Apriorità  dell'intero [...] come fondamento [...] prendere  me  singolare, che sono l'innegabile  esigenza  di coscienza della unità intera. L'INTERO, CHE IO SO APRIORI, SONO SOLTANTO IO IN QUANTO PENSO."[90] Dunque l'Io puro è  un uno intero che, in quanto Io penso, fonda  sia  la pluralità  degli io, sia, all'interno di questa, il  mio  sapere apriori: la trasposizione dal piano trascendenta­le al piano metafisico è avvenuta.  

 

7.  Trascendenza  e immanenza tra i distinti  della  Co­scienza

Possiamo  ora affrontare più nello specifico  qual è  il rapporto che lega all'interno del Concreto o Coscienza i suoi  distinti o condizioni costitutive:  possiamo  cioè chiederci  qual è secondo Carabellese il rapporto tra  i soggetti  e  l'Oggetto,  e dei soggetti  tra  loro,  dal momento  che egli polemizza con la posizione  dualistica tradizionale  prendendo le  distanze  contemporaneamente dal  realismo  tradizionale, da quello  neoscolastico  e dall'idealismo  soggettivo nel modo che  abbiamo  visto. Non  senza  notare però che al livello  della  Coscienza come Essere-Sapere non soltanto permane in lui,  sebbene non  interpretato in senso realistico, il dualismo  sog­getti-Oggetto[91]  e lo stesso dualismo Essere-Sapere,  ma anche che, come ora vedremo, proprio per l'accezione che i due termini, soggetti e Oggetto, hanno nel suo pensie­ro,  il rapporto che li lega, alquanto problematico,  è passibile di essere interpretato come un circolo. 

L'identificazione che Carabellese fa di Dio con l'Ogget­to puro ha confortato alcuni critici sull'interpretazio­ne  del suo pensiero come immanentismo: Dio è  immanente alla  coscienza come Oggetto universale in cui i  molti, suoi Termini, convengono. Quest'idea di immanenza  viene rafforzata  dalla ripresa che Carabellese fa  dell'argo­mento  ontologico anselmiano dell'imprescindibilità  del pensiero  di  Dio secondo cui chi lo nega  è  insipiens.

Anche sul piano metafisico, l'interpretazione del noume­no kantiano come Idea teologica conferma  l'immanentismo di Dio sia al livello della Coscienza come suo In sé sia sul  piano della coscienza dei soggetti come idea  nella sua  pensabilità  intrinseca alla coscienza  stessa. Ma  pure questo immanentismo, da Carabellese  più  volte sostenuto, è almeno problematico, dal momento che gli si può  affiancare altrettanto legittimamente  una  diversa lettura che metta in risalto i luoghi carabellesiani  in cui  al concetto di Dio non può che attribuirsi la  tra­scendenza.  Uno  dei punti in cui la critica  si  è  più divisa è infatti proprio quello dell'interpretazione del pensiero  carabellesiano  in termini di  immanentismo  o trascendentismo,  appunto  per  la  problematicità   del concetto carabellesiano di Coscienza e del rapporto  che lega  i distinti della Coscienza, Principio  e  Termini: immanenza o trascendenza hanno rappresentato il  terreno di scontro della critica neoscolastica e non riguardo  a concetti che, sconfinando nell'ambito della  riflessione religiosa,  erano portatori di una determinata  immagine di Dio. Allora, se innegabile risulta l'affermazione che Carabellese  fa  dell'immanenza di Dio  come  Idea  alla Coscienza,  è proprio approfondendo il concetto  di  Dio come noumeno appartenente a priori alla coscienza che si perviene  alla  sua  inconoscibilità,  inesauribilità  e dunque trascendenza per il soggetto. Dio in questo senso è pensabile ma non conoscibile, costituisce la coscienza nel  suo esserne implicito che qualunque  esplicitazione dovrà  dichiarare  inesaustiva  perché  inesauribile:  è dunque trascendente, così come trascendente risulta, per la  sua innegabilità, a chi come Anselmo lo  afferma  in ogni sua affermazione. Anche dove più recisa è  l'affer­mazione  dell'immanenza  di Dio al  pensiero,  come  nel Problema  teologico  come filosofia, pure si  fa  strada questa  necessità  della  sua  trascendenza,  che  viene esplicitamente  dichiarata nella seconda edizione  della Critica   del  Concreto:  "Solo   [...]   l'intrinsecità dell'Unico ai molti permette quella trascendenza assolu­ta che l'assoluto Principio non può non richiedere [...] né trattasi di rapporto dialettico antitetico tra  imma­nenza e trascendenza. L'immanenza non è l'opposto  della trascendenza  ma della estrinsecità; e così la  trascen­denza non è l'opposto della immanenza ma della  assoluta adeguazione [...] L'esigenza della trascendenza [...]  è l'esigenza che il concreto ha di un Principio [...]"[92]. Carabellese dunque parla di trascendenza o inadeguabili­tà  e  di immanenza o intrinsecità insieme,  ossia  come caratteri  che  si richiamano l'un l'altro:  per  quanto riguarda il primo, la trascendenza, dire che il Concreto è inadeguato ai suoi distinti significa dire che  questi "[...]  superano la coscienza concreta, non  vengono  da questa attuati interamente. Non verrà quindi mai  tempo, in  cui la coscienza si quieti, perché ha  concretamente raggiunto  il suo Principio ed esauriti i  suoi  termini [...]."[93] Quindi il movimento della Coscienza è  espan­sivo dal punto di vista dei termini, intensivo dal punto di  vista  del Principio o Oggetto unico o Dio,  la  cui trascendenza anche rispetto alla Coscienza, come Concre­to  o  Essere-Sapere  dualisticamente  ancora   distinti seppure inscindibili, è necessaria. Infatti nel  prosie­guo  dell'argomentazione  Carabellese specifica  che  la  trascendenza  è un carattere dell'Unico: "Ogni  rigorosa trascendenza (inadeguabilità) dell'Unico non può  essere scissa dalla sua rigorosa immanenza (intrinsecità) [...] perduta  sarebbe la mediata diversificazione  dell'Unico pur  nella  individuata attività  dei  singoli;  perduta sarebbe  l'implicita  individuazione che i  molti  fanno dell'Unico pur nella sua diversa attività."[94] Si può, anzi si deve, dunque parlare a nostro parere  di immanentismo  e trascendentismo insieme, che  vengono  a proporsi  alternativamente a seconda del punto di  vista da cui si guarda: dal lato dei soggetti, Dio è  trascen­dente  nella  sua ulteriorità, cosicché  non  viene  mai adeguato  dai soggetti che si sforzano  all'infinito  di raggiungerlo,   mentre  considerato  nella   prospettiva dell'Oggetto, Dio è immanente alla coscienza dei sogget­ti,  che anzi costituisce nella sua oggettività.  Se  la trascendenza è dunque esigenza derivante  dall'inadegua­bilità che conduce a un continuo oltrepassamento,  l'im­manenza è invece la necessaria intrinsecità dell'Oggetto ai  soggetti. Infatti per Carabellese l'errore del  con­cetto tradizionale di trascendenza consiste nel conside­rarla  come estrinsecità e dunque  separazione,  laddove invece  la  trascendenza  è possibile solo  se  ciò  che trascende è intrinseco al trasceso, se non si vuole  che trascendenza  significhi irrelatività, mancanza di  rap­porto. Sia la trascendenza religiosa che quella  gnoseo­logica, che considerano l'una Dio l'altra l'essere in  sé come assoluti, conducono per Carabellese, a causa di  un malinteso  concetto di trascendenza come esteriorità,  a "[...]  una duplice falsificazione della  coscienza:  1) l'identificazione  di questa con uno solo dei  suoi  di­stinti,  l'Unico, ritenuto Dio nella trascendenza  reli­giosa,  essere oggettivo in quella gnoseologica;  2)  la separazione di tale Unico [...] dai singolari che  l'af­fermano. Entrambe queste falsificazioni sono la  diretta conseguenza   di  quella negazione del concreto,  che  è implicita nel concetto tradizionale di trascendenza come esteriorità, derivante dalla mancata fusione di essa  con l'immanenza."[95] E'  a partire dal legame tra trascendenza  e  immanenza, che  si richiamano sempre l'un l'altra, che è  possibile comprendere  le due forme di trascendenza,  relativa  ed assoluta,  riguardanti  l'una  il rapporto  che  lega  i soggetti  tra loro, l'altra il rapporto che lega i  sog­getti con l'Oggetto. E' trascendenza relativa quella dei soggetti tra loro, i quali,  come coscienze singolari, sono ciascuno in  rap­porto con ciascun altro nella comune Coscienza universa­le, che individuano e che esplicano in infinitum. Questa trascendenza  relativa è reciproca: "[...] non mi  porrò mai io come uno al posto dell'altro, come un altro,  non lo sostituirò né sarò mai sostituito, come giammai  farò esplicita  senza  residui  l'unicità   nell'universalità delle  sue forme [...] perciò non sarò mai  l'Unico  per esplicarlo  che  faccia,  non sarò  l'altro  per  quanto riesca  a  comprenderlo."[96] La  trascendenza  relativa fonda  per  Carabellese la  comprensione  tra  soggetti: "L'altro  [...] proprio in quanto altro, cioè  tu,  tra­scenderà me; ma soltanto così come io, proprio in quanto altro del tu, trascenderò l'altro. [...] tu, essendo  un altro  io,  sei  concreta coscienza, come  sono  io,  in quanto anche tu sei un soggetto della coscienza  univer­sale.  L'altro,  che è tu, vale me, che sono  il  tu  di quell'altro. La coscienza universale, dunque, che immane nella  nostra reciproca comprensione, richiede,  proprio per  questa sua immanenza, la nostra reciproca  trascen­denza [...] Tutti noi, dunque, soggetti ci  trascendiamo l'uno  con l'altro, perché ciascuno,  nell'ineliminabile rapporto con l'altro, è principio relativo dell'altro, e così intrinseco all'altro: il principio è sempre intrin­seco,  mai estrinseco."[97] Io e tu, dunque,  singolarità di  Coscienza,  sono reciproci e, nel loro  rapporto  di trascendenza relativa, costituiscono una delle due forme della trascendenza concreta.

L'altra   forma  è  la  trascendenza  assoluta,   quella dell'Assoluto,   l'Incondizionato  Universale,  di   cui abbiamo  "infinita  sete",  con la quale  si  chiude  la Critica  del concreto. Quello che lungo il  corso  della sua riflessione Carabellese chiama Oggetto puro, Princi­pio, Dio, è, come Assoluto, assolutamente  trascendente. Mentre  la trascendenza dei soggetti è  relativa  perché reciproca, quella del Principio è assoluta perché  esso, che  trascende,  non può mai esser trasceso.  E  proprio quest'impossibilità di esser trasceso implica l'immanen­za  dell'Oggetto nel soggetto, ossia la negazione  della separazione.  Infatti  trascendenza  assoluta,   proprio perché unilaterale dal lato del Principio (nel senso che la trascendenza dell'Assoluto non significa la  trascen­denza  dell'io, che sarebbe separazione  tra  l'Assoluto Principio  e  l'io),  dal  lato  dell'Oggetto  significa immanenza. Quindi, seppure questa trascendenza è assolu­ta, il rapporto che si stabilisce tra Dio come  Assoluto e  i termini è biunivoco, ossia bilaterale. Infatti,  in quanto Principio, Dio è in comunicazione con i  soggetti come termini in direzione discendente, in quanto  Ogget­to, Dio è in comunicazione con i soggetti come  immanen­te,  in  quanto Assoluto, Dio è in comunicazione  con  i soggetti  in quanto assolutamente trascendente in  dire­zione ascendente.

Un  interessante rapporto tra il concetto di soggetto  e quello  di Dio sulla base dell'attributo della  trascen­denza è quello stabilito da Ornella Nobile Ventura: “[...] se  la  soggettività [...] si  presenta  anch'essa  come trascendente  (Cfr.  Critica del Concreto,  Pgr.  52)  è perché  essa si offre al nostro pensiero con  la  stessa irriducibilità a concetto, cioè misteriosità con cui  ci si presenta l'idea di Dio. Anche l'intimità del soggetto ci  è ignota [...] Anche il soggetto singolo  è  Mistero [...]  Realtà è proprio il concetto contraddittorio  per eccellenza, nel senso che mette il pensiero nella diffi­coltà  [...] e lo spinge nello stesso tempo a  superarla superando il concetto con il salto della fede [...] come certezza  dell'<<al di là>> (trans). Trascendens  è  ciò che  io  in qualche modo so, eppure è <<trans>>  il  mio saperlo:  tale  è la singolarità dell'altro io,  con  il quale  io  convergo [...] nel  pensiero  e  nell'azione, senza  tuttavia  mai  assorbirlo [...] e  tale  trans  è l'Essere in sé, l'Ineffabile, l'Oggetto [...]"[98]. Inutile aggiungere parole a questa incisiva osservazione, se non sottolineando  il rapporto che tra questo trans,  questo al di là saputo ma non conosciuto, e la fede si viene  a stabilire:  è la fede l'elemento chiave che consente  il sapere, elemento trans, potremmo dire, anch'esso, perché trans-logico  e trans-razionale che  Carabellese  chiama sapere  apriori, e che consente l'apertura all'al di  là metafisico come all'al di là soggettivo nella  comunica­zione, comunicazione che però questo al di là, e il  suo Mistero,  non  esaurisce  mai.  Queste  osservazioni  ci confortano sul valore metafisico che già precedentemente si è rilevato Carabellese attribuisce al soggetto  nella specificità di significato che egli dà a questo  concet­to,  valore metafisico che va ben al di là della  natura di  soggetto senziente volente conoscente, e tanto  meno esistente  nel senso comune che tale parola ha,  e  che, non  irreggimentabile  entro la  ristretta  visione  del soggetto  morale,  vuole tendenzialmente  aprire  a  una dimensione  spirituale  che,  seppure  includente  anche l'uomo,  non è di suo esclusivo appannaggio. E ci  preme sottolineare  che tale dimensione spirituale include  ma non appartiene al soggetto, nel senso che per Carabelle­se non è una proprietà, quasi che tra realtà e spiritua­lità  vi  sia  uno iato, una  diversità  strutturale  da colmare.  In questo senso si può comprendere  sul  piano gnoseologico la costante battaglia carabellesiana contro la  divisione soggetto-oggetto, che dualizza una  realtà da Carabellese vista come unica e indivisibile nella sua spiritualità  (che  egli chiama Coscienza o  Concreto  e nelle  ultime pagine della Critica del  concreto  chiama Tutto),  e che vuole attribuire questa  spiritualità  al solo  lato soggettivo. E in questo senso ancora  si  può comprendere  sul  piano ontologico anche la  critica  di Carabellese  all'idealismo soggettivo, che  nell'assolu­tizzazione del soggetto e nella sua identificazione  con la  spiritualità  vede  da un lato  la  soluzione  delle aporie gnoseologiche e dall'altro l'essenza della  real­tà. Carabellese è lontano da questa indulgente e ottimi­stica  visione, e più umilmente crede non che la  spiri­tualità appartenga o si identifichi con un soggetto  sia pure  assoluto,  bensì che la spiritualità non  sia  sul piano  metafisico soggettivizzabile. E in  questo  senso appunto  è infine comprensibile il suo immanentismo:  la spiritualità è  la realtà stessa,  l'Essere  che  tutto include, e che secondo Carabellese solo con un'operazio­ne surrettizia noi possiamo definire Soggetto. Siamo qui insomma  non nel pieno  dell'argomentazione  filosofica, dove vige la consequenzialità e la coerenza dello  svol­gimento  delle  tesi: siamo invece  ai  presupposti  che impongono  una scelta di campo non ulteriormente  "dimo­strabile" - sebbene Carabellese affermi che la filosofia "o è dimostrazione o non è" - e che segnano lo spartiac­que  tra  le  correnti anche  all'interno  dello  stesso  idealismo, spartiacque inteso come scontro frontale  tra Weltanschauungen,  proprio perché quei  presupposti  non sono negoziabili nel senso dell'argomentazione  raziona­le,  ma solo assumibili nella direzione dell'opzione  di fede, che mette in gioco l'essenza più profonda dell'es­sere  soggetto di ogni filosofo, e che in fin dei  conti si rivela essere una scelta obbligata come adesione, per quanto  conflittuale sempre necessaria, al  più  proprio essere  io.  In questo senso  Carabellese  respinge  sia l'assolutizzazione  del soggetto, che abbiamo visto  per lui essere spirito singolare, sia la  soggettivizzazione della spiritualità, l'esser soggetto della spiritualità, che  abbiamo  visto  essere per lui  la  Coscienza  come Tutto: è una scelta di campo che può attendere la nostra adesione o il nostro rifiuto, ma che comunque si presen­ta  con  quel carattere ultimativo che  sempre  hanno  i presupposti fondativi di un pensiero. Risultano compren­sibili allora la sua teoria dell'inesistenza di Dio e la sua  critica  all'umanesimo antropocentrico:  l'uomo  di Carabellese  non  è più il centro dell'universo,  né  in senso  empirico né in senso teorico, perché più in  alto dell'uomo   c'è il concreto come esperienza  soggettivo-oggettiva,  quindi il soggetto come spirito, poi la  Co­scienza  come  Essere-Sapere, quindi la  Coscienza  come Concreto   all'interno  della  quale vi  è  un  rapporto verticale  tra  Principio  e termini e  un  rapporto  di intrinsecità  tra Oggetto e soggetti, quindi la Coscien­za come Tutto il cui centro è l' Essere in sé come  Idea o Assoluto.  La metafisica teologica carabellesiana, sul piano speculativo della Coscienza come Tutto, seppure al di là delle rappresentazioni mitiche e delle  mitopoiesi non solo religiose o popolari, ha dunque un Centro.   Ma è possibile senza contraddizioni concepire  un Centro  e nel  contempo un'assoluta a-centralità  dell'Essere-Pen­siero,  in  cui il Centro è racchiuso  in  una  totalità nella sua eterna infinita dinamica? Nel quadro di  rife­rimento  carabellesiano, etico prima ancora che  concet­tuale, l'immanentismo e l'oggettivismo non si trasforma­no  mai  in  assoluto panteismo, e  un  Centro,  seppure interno comunque distinto, e dunque, oltre che  trascen­dente  l'essere nel quale immane, certamente, pur  imma­nente,  trascendente la singolarità di ogni sua  espres­sione,  Carabellese lo afferma. Nell'Essere in  sé  come Idea, Carabellese esprime dal punto di vista del sogget­to  l'esigenza  che  la Coscienza come  Tutto  abbia  un Centro,  da  lui  chiamato via via  Oggetto  puro,  Dio, Principio,  Unico, Assoluto, a seconda dei piani  e  dei livelli a cui si pone la sua speculazione. Ecco allora che, al di là della sua valenza  filosofica, l'operazione  culturale di Carabellese, seppure  lontana dall'ottimismo  centralizzante  o anche  dalla  chiusura difensiva  nella  dimensione dell'umano,  mira  comunque alla ricerca di un senso che conservi e all'uomo e a Dio una presenza positiva in quell'orizzonte di  significati che sul piano morale ed etico va a costituire il presup­posto teorico dell'agire pratico nel mondo. Riassumendo,  si può affermare che trascendenza e  imma­nenza nella loro reciprocità determinano il rapporto tra i distinti della Coscienza[99].

Il contrasto e la contrad­dizione che taluna critica ha voluto vedere in  Carabel­lese tra immanentismo e trascendentismo scompaiono se si tiene  a  mente che Carabellese rifiuta  sia  l'assoluta trascendenza nel senso di assoluta separazione tra Dio e Io che l'assoluta immanenza nel senso di assoluta  iden­tificazione  tra  Dio e Tutto[100], e se  si  considera  per immanenza l'intrinsecità e per trascendenza l'ulteriori­tà, l'inesauribilità che richiede al soggetto uno sforzo incompiuto.  Pertanto vanno distinti bene i  livelli  ai quali  trascendenza  e immanenza si  pongono  sul  piano metafisico: l'inesauribilità del Principio, e dunque  il trascendentismo, è sostenuta da Carabellese e sostenibi­le in sede teoretica laddove si guardi alla trascendenza sia  dal punto di vista della singolarità, sia essa  del soggetto,  ma anche dell'ente tout court, sia dal  punto di  vista della totalità, mentre  l'immanentismo  è  al­trettanto sostenibile  sia dal punto di vista  della  co­scienza  soggettiva sia se ci si pone al  livello  della totalità dell'essere, a patto che si intenda tale  imma­nentismo  come presenza positiva, nella  Coscienza  come Tutto,  dell'Essere  in  sé come  spiritualità,  che  lo pervade  sostenendolo in un miracolo continuo che  è  la creazione secondo Carabellese, e che è continua  rivela­zione. Pertanto, nonostante Carabellese affermi, con espressio­ne  estremamente suggestiva, che nel Concreto  "palpita" Dio[101],  da ciò non si può  senz'altro  concludere,  per quanto in alcuni luoghi Carabellese vi possa propendere, per  un  panteismo che sostenga un  "Deus  sive  Natura" senza  residui, sebbene la tesi dell'inesistenza di  Dio  ha  spinto alcuni critici in questa direzione.  Infatti, anche se  Carabellese non lo dice, l'idea immanentistica e  panteistica di un Deus sive Natura, mentre  esaurisce l'universo  nella sua totalità - quello che  Carabellese chiama  la Coscienza come Tutto - in Dio, non  può  però esaurire  Dio  nell'universo, come  egli  afferma  nelle ultime pagine della Critica del concreto, cioè identifi­carlo  senza  residui con esso, proprio  perché  il  suo principio è la spiritualità attiva. Il Dio di Carabelle­se  vive e palpita nella natura come Tutto-Coscienza,  e in  questo  senso  è un Deus sive Natura,  ma  poiché  è spiritualità dinamica, continuamente lo trascende perché quel  Deus  sive Natura è  la manifestazione  visibile  - potremmo dire l'atto continuo che, appunto perché conti­nuo nella temporalità eterna come durata, è inesauribile - di quella spiritualità. In questo senso la trascenden­za  di  Dio non si verifica soltanto  al  livello  della singolarità degli enti, siano essi soggetti o oggetti, e non  si riferisce soltanto all'inoggettivabilità che  fa sì che per il filosofo Dio costituisca lo sforzo  sempre inconcluso  - lo scacco dell'esistenza jaspersiano -  ma riguarda invece anche il livello della totalità dell'es­sere, il livello del Tutto-Coscienza, a partire dall'ac­cento  posto  più volte da  Carabellese  sull'essere  il Principio implicito non solo nella prospettiva soggetti­va,  che pure è metafisica, ma anche  nella  prospettiva metafisica  in senso stretto, ossia dal punto  di  vista del  Tutto.  In  questo senso la  sua  inesauribilità  e implicitezza  non riguarda più soltanto il soggetto,  ma lo  sviluppo stesso dell'universo,  che  nell'esplicarlo non lo esaurisce, e non esaurendolo non può identificar­visi. Panteismo e immanentismo risultano allora solo  un aspetto  della visione metafisica di  Carabellese,  alla quale, si è cercato di mostrare, è altrettanto indispen­sabile il trascendentismo: tra immanenza e  trascendenza si stabilisce così un circolo di rimandi che  nell'ulte­riorità della trascendenza impediscono la morta statici­tà dell'immanenza e che nella spiritualità dell'immanen­za  impediscono l'alterità e la separatezza  della  tra­scendenza. L'eco di Spinoza, non a caso anche lui  accu­sato  di ateismo, è qui più evidente che altrove,  anche se Carabellese è lontanissimo, se non per intenzione per temperie culturale, nonostante dichiari che la filosofia è  dimostrazione e nonostante a Spinoza  abbia  dedicato quattro  corsi  inediti dalla Cattedra di  Storia  della Filosofia  a Roma, dal rigore dimostrativo e  dall'ansia di sistema che caratterizzano il filosofo olandese.

In  questo  immanentismo  che non si  trasforma  mai  in radicale  panteismo, e in questo permanere del  dualismo ad esso collegato tra Uno e Tutto, sono le ragioni della vicinanza di fatto di Carabellese al cattolicesimo e  al pensiero cristiano, che da un lato sottolineano  l'imma­nenza  di Dio in tutto l'Essere, dall'altro  rivendicano la sua trascendenza. Allora la risposta a se è possibile concepire  metafisicamente una  Coscienza   radicalmente panteistica è, riguardo Carabellese, senz'altro  negati­va: soltanto il panteismo più radicale può forse fare  a meno  di  un Centro perché si trasforma in  un  assoluto monismo  nel quale il dualismo implicito  e  inevitabile nel concetto di Centro, Principio, ecc., viene eliminato da una concezione unitaria dell'essere priva di  artico­lazioni interne e di livelli dell'essere.

Concettualizzare  questo Centro, che Carabellese  chiama Principio o Assoluto, in termini soggettivi[102],  significa non aver colto la sua dimensione di Idea. Per chi,  come Carabellese,  profondamente  religioso  e  assetato   di Assoluto,  ha  scelto  di non praticare  la  strada  del silenzio mistico e della teologia negativa, né di  affi­darsi  al  rassicurante rifugio di  una  fede  ortodossa lasciando libera la speculazione di esercitarsi in altri campi, né di identificarsi definitivamente in un pensie­ro non suo che al tempo stesso colmasse sete di sapere e sete  di Assoluto, l'unica via percorribile,  scelta  ma anche  assunta,  resta quella di una  ricerca  personale che, nella tensione e nell'incontro tra ragione e  fede, di  una fede che è ragione e di una ragione che è  fede, costruisse, nel dialogo talora appagante talaltra  aspro con  autori coevi e passati, una propria  metafisica  in cui  filosofia e teologia, scisse sul piano  storico,  e filosofia e religione, da lui stesso distinte sul  piano concettuale, finiscono, se non certo con  l'identificar­si, con l'incontrarsi in una nuova sintesi di  pensiero, per quanto provvisoria e aperta a ulteriori sviluppi. E' da notare allora che forse più di ogni altro è il termi­ne Spirito che consente di mettere in relazione,  facen­dole interagire tra loro senza entrare in  contraddizio­ne,  l'immanenza  e  la  trascendenza.  Sebbene  infatti Carabellese  non lo usi quasi mai e preferisca di  volta in  volta  i termini Principio, Oggetto puro e  Dio,  il concetto di Spirito, o anche quello da lui  appropriata­mente  usato  di  Assoluto, esprime  bene  una  presenza immanente all'essere ma nel contempo ad esso  eccedente, una  presenza  che,  nella  sua  ulteriorità   implicita nell'essere  che  divenendo la  esplica,  perciò  stesso rimane sempre trascendente nella sua inesauribilità[103].

Il concetto  di  Spirito,  congiunto  alla  sua   immanenza nell'essere,  rende possibile la  depersonalizzazione  e de-entificazione della Trascendenza, ma anche la sua non alterità ed estraneità rispetto all'essere stesso, oltre il quale, come esplicazione dello stesso Spirito, non vi è nulla (nel senso che anche il nulla è una forma  d'es­sere).  Il concetto di Spirito congiunto alla  sua  tra­scendenza intesa come implicitezza  ne segna, dal  punto di  vista soggettivo come dal punto di vista  oggettivo, l'inesauribilità. 



[1] Secondo Ornella Nobile Ventura, l'antiumanesimo carabellesiano si sposa con il suo antisoggettivismo che nega l'identificazione dello Spirito con l'uomo, seppure inteso non in senso empirico ma come soggetto puro, ed anche questa distinzione tra soggetto empirico e soggetto puro, propria dell'idealismo e del neoideali­smo, è da lui rifiutata: cfr. O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico laico: P. Carabellese cit., pp. 164 sgg.

[2] P. Carabellese,  Postilla a IV: Trascendentalità e non tra­scendenza della filosofia, 1940, in Id., Che cos'è la filosofia? cit., Postilla al Saggio IV: Che cos'è la filosofia? cit., 1921, p. 124.

[3] In questa interpretazione mi conforta anche il giudizio di Edoardo Mirri. Cfr. E. Mirri, Introduzione cit. a P. Carabellese, Il problema teologico come filosofia cit., pp. V-XVIII, in partc. pp. XI e XVII. Il problema di Carabellese, sottolinea Mirri in consonanza con un'analoga interpretazione di Semerari, è quello della riaffermazione dei soggetti molteplici nella loro concre­tezza come appartenenti alla coscienza, riaffermazione necessaria dopo l'idealismo post-kantiano che li ha ridotti a meri fenomeni, e negati nella loro molteplicità. Si è cercato di mostrare sin qui che tale interpretazione, pur giusta nel cogliere un aspetto del pensiero di Carabellese, non centra del tutto la specificità del discorso carabellesiano, che è molto più complesso.

[4] Questa sottolineatura della coscienza carabellesiana come ambiente omnicomprensivo la si ritrova concordemente anche in Semerari, il quale  si chiede che cosa Carabellese intendesse per Coscienza, "[...] di cui la filosofia doveva essere riflessione trascendentale? Perché C. riteneva la coscienza non solo il primum dell'esercizio filosofico [...] il presupposto della filosofia [...] ma pure il primum tout court nel senso che essa è [...] [qui cita C.] 'L'ambiente, dal quale nessuno di noi operan­ti con coscienza può essere mai escluso' [P. Carabellese, La coscienza, in AA.VV., Filosofi italiani contemporanei, a cura di M. F. Sciacca, Marzorati, Como, 1944, II ed. Marzorati, Milano, 1946, p. 206], ambiente 'non umano soltanto, non soltanto cosmi­co, ma ontico (cioè comprendente ogni ente) [...]'" [Ibidem, p. 208]. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo critico di P. Carabellese. Genesi e significato cit., in AA.VV., P. Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., pp. 10 sgg., in partc. p. 18. Tale centra­lità della coscienza in Carabellese però, ci sembra necessario rilevare, appartiene, come detto, a un periodo specifico del suo percorso filosofico, ma non può essere considerata tale nel complesso del suo pensiero, che, come mostrato, si sviluppa in un periodo metafisico in cui essa Coscienza costituisce un aspetto del discorso carabellesiano sull'Essere.

[5] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 105.

[6] P. Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p. 443. Altrove dirà: "I realisti trascendentisti [...] e gli idea­listi umanisti dell'idealismo soggettivistico post-kantiano [...] gli uni per superare insieme con la coscienza umana, la coscien­za, gli altri per limitare la coscienza alla coscienza umana [...] hanno lo stesso vizio d'origine: l'identificazione della coscienza con l'umanità." Cfr. P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 124.

[7] Franco Fanizza ad esempio ricorda che alcuni, come Ornella Nobile Ventura, hanno interpretato questa dottrina come implicita esigenza religiosa e ascetica, mentre altri, come Luciano Ance­schi, come espressione di un pensiero laico. Cfr. F. Fanizza, Conoscere ed essere: Carabellese e l'esigenza dell'ontologismo integrale cit., in AA.VV., P. Carabellese, il <<tarlo del filoso­fare>> cit., p. 80. In questo saggio Fanizza, alle pp. 45-53, introduce alcune brevi note di storia della critica carabellesia­na, intersecate con note sulla bibliografia carabellesiana e divise, al contrario delle nostre, tematicamente e non cronologi­camente.

[8] E' ciò che fa Rocco Donnici, Comunità e valori in Pantaleo Carabellese cit., passim, in partc. p. 54, dove afferma, coglien­do senz'altro alcuni aspetti del concetto carabellesiano di coscienza, che questa non è mai oggetto di conoscenza tematica, né è concetto o idea, ma condizione di possibilità di ogni atto di coscienza del soggetto. Molto convincente mi sembra viceversa l'interpretazione del pensiero carabellesiano come metafisica del dover essere, laddove gli uomini, nell'azione, esplicano la coscienza che da implicita si fa esplicita. Cfr. Ibidem, p. 102 sg.

[9] Si può situare lungo  questa linea interpretativa l'analisi che della Critica del Concreto carabellesiana fa Giuseppe Semera­ri nel suo La sabbia e la roccia cit., pp. 40 sgg., dove afferma che la critica del concreto fu nient'altro che critica della coscienza. Il problema della critica della ragione doveva essere staccato dai limiti angusti dell'intelletto come ragione conosci­tiva, per allargarsi alla coscienza quale fondamento del sapere ma anche del fare. Pertanto Carabellese opera una radicalizzazio­ne del kantismo, nella quale il Kant cui Carabellese si rifà non è il Kant criticista. Ma Semerari vede nell'ontologizzazione a cui Carabellese sottopone la coscienza, facendone l'essere e l'apriori incondizionato oltre il quale non è possibile andare, l'estremo tentativo di sottrarsi alla crisi dei valori, discono­scendo dunque che il vero apriori incondizionato è l'Essere. Cfr. Ibidem, pp. 51 sgg.

[10] Ci conforta in questo senso l'interpretazione di Silvano Buscaroli, La rilevanza perenne di Carabellese, nell'ascesi di coscienza, in rapporto al pensiero europeo cit., in AA.VV., Pantaleo Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., p. 196 e pp. 208-210. Secondo Buscaroli, anch'egli concorde con la maggior parte dei critici nel definire il concetto di Coscienza il fulcro dell'ontologismo critico, Carabellese con questo concetto intende esprimere la totalità del reale, tanto che è possibile avvicinar­lo all'Umgreifende jaspersiano, sebbene poi in Carabellese la Coscienza si presenti come concetto articolato e non indefinito. Se concordiamo sul fatto che  da un lato essa è unitaria e omnin­globante, al di là, al di fuori e al di sopra della quale non è nulla, non altrettanto sul fatto che dall'altro essa è varia e plurima soltanto per la pluralità dei centri di coscienza sogget­tivi nei quali, potremmo dire, si incarna. Nell'essere la Co­scienza ciò di cui non v'è al di là, ma tale che comprende tutto, Buscaroli vede il richiamo all'antico concetto di Essere: non l'essere predicativo raggiunto per astrazione che finisce per identificarsi col nulla nella sua assenza di particolarità, bensì l'Essere pieno che di tutte le cose è onnipervasivo.

[11] P. Carabellese, E' possibile filosofare?, discorso inedito tenuto presso la Sezione di Bologna dell'Istituto degli Studi Filosofici nel 1941, poi stamp. in Id., Che cos'è la filosofia? cit., p. 227. La via ontologica è possibile per "[...] l'immanen­za (intrinsecità) dell'Assoluto alla coscienza singolare [...]." (Ibidem, p. 226), Assoluto che è quindi accessibile a ogni coscienza singolare, ma che da quella del filosofo, e in specie del metafisico che per Carabellese è il vero filosofo, viene tematizzato in modo specifico, in modo tale che il sapere comune per Carabellese "ha" l'essere perché glielo "dà" il sapere filo­sofico, altrimenti "[...] sarebbe il sapere del prigioniero della caverna platonica: non distinguerebbe [...] l'apparire dall'esse­re." Cfr. Ibidem, p. 228.

[12] P. Carabellese, Coscienza comune e filosofia, discorso inedito del 1931 poi stamp. in Id., Che cos'è la filosofia? cit., p. 182. Anche Kant secondo Carabellese concepisce l'essere secondo il vecchio realismo dogmatico della contrapposizione dualistico-sostanzialistica di essere e pensiero, di soggetto e oggetto, e quindi non comprende la sua stessa scoperta, che consiste non nell'inconoscibilità della cosa in sé che pone limiti alla cono­scenza, bensì (come felicemente nota Semerari a p. 63 del suo già cit. La sabbia e la roccia) nella "sinteticità soggetto-oggettiva del reale", che il Kant critico concepisce ancora in termini gnoseologici e che Carabellese vuole invece interpretare in termini ontologici, secondo il suo progetto di una nuova metafi­sica critica, che si vede già anche in questo brano del discorso del 1931.

[13] Secondo Semerari, è proprio la concezione dell'essere come Coscienza o della Coscienza come essere uno dei motivi profondi del rifiuto acceso del neotomismo, la cui separazione realistica di essere e coscienza era secondo Carabellese il tratto comune anche all'idealismo e all'attualismo, implicita nel primo, espli­cita nei secondi. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo critico di P. Carabellese. Genesi e significato cit., n. 19, p. 16. Ci sembra invece di aver messo in luce, nel piccolo saggio Per una storia della critica, che il realismo scolastico, nelle espressioni di pensiero di Gustavo Bontadini e Sofia Vanni Rovighi, concordi con Carabellese nel ritenere l'es­sere non altro dal pensiero, ma lo stesso pensiero: i punti di discordanza sono altri.

[14] Interessante a questo proposito la convergenza individuata da Gian Franco Morra tra Carabellese ed Heidegger riguardo allo sviluppo della storia della filosofia come oblio dell'essere. Morra così riassume la vicinanza tra i due pensatori, al di là delle notevoli differenze che è necessario non dimenticare: "1) Il rifiuto della categoria storiografica dell'Entwicklung, che consente a entrambi una comprensione del significato della filo­sofia presocratica, scaturisce dal comune antiumanesimo dei due filosofi, cioè dal loro comune ontologismo, dal rifiuto, cioè, di una considerazione antropomorfica della realtà. 2) La critica dell'idealismo e del realismo [non scolastico] vuole in entrambi evitare la frattura tra essere e pensiero, riproponendo l'origi­naria unità, che Carabellese definirebbe ontocoscienziale e Heidegger ontologica, di un Sapere che è e di un Essere che sa. 3) Lo sviluppo della storia del pensiero occidentale è vista da entrambi come oblio dell'essere, come perdita, cioè, dell'origi­naria unità causata dal trionfo dello scientismo aristotelico e delle filosofie umanistiche." Cfr. Gian Franco Morra, Carabellese e Heidegger interpreti di Parmenide cit., in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., passim e in partc. p. 508. Nel contem­po, Armando Rigobello sottolinea come ambedue i pensatori abbiano rivolto la loro attenzione al rapporto di Kant con la metafisica, che costituisce per entrambi la cifra specifica del filosofo di Konisberg, dal momento che il problema ontologico fonda e apre la possibilità del problema gnoseologico, e non viceversa. Cfr. A. Rigobello, Rapporti teoretici ed implicanze storiografiche tra la interpretazione storiografica di Kant e quella di Heidegger, Ivi, pp. 545 sgg.

[15] P. Carabellese, L'attività spirituale umana. Prime linee di una logica dell'Essere cit., p. 42.

[16] Abbiamo già visto come secondo Carabellese Cartesio affermi il cogito Deum, per cui il suo valore, al di là della gnoseologia e dell'ontologia, è nella metafisica.

[17] Anche secondo Edoardo Mirri Carabellese recupera di Cartesio l'Essere intrinseco al cogito, l'Essere presupposto del pensare e ad esso intrinseco. Cfr. E. Mirri, Introduzione cit. a P. Cara­bellese, L'attività spirituale umana cit., p. 16.

[18] Con la concezione della soggettività, come anche con l'atten­zione al Concreto, Carabellese si inserisce in quel vasto movi­mento non solo filosofico ma anche culturale (si pensi in campo artistico all'espressionismo) a cavallo tra Otto e Novecento di ritorno al concreto, di ritorno, per dirla con Husserl, "alle cose stesse", che nel campo della soggettività segna il definiti­vo distacco dall'intellettualismo e di cui parla Giuseppe Cantillo.

[19] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., n. 1 di p. 187-88.

[20] P. Carabellese, L'Essere e il problema religioso cit., pp. 161 sgg.

[21] Ibidem, p. 181. In questo, al di là della polemica, egli si incontra con la neoscolastica.

[22] Bisognerebbe confrontare questo suo rifiuto del teismo del 1914 con la posizione espressa in Stato etico o teismo politico?, in "Archivio di Filosofia", Quaderno La crisi dei valori, Roma, 1945, pp. 7-14, poi rist. come cap. XIX in Id., L'idea politica d'Italia, Ediz. F. V. Nardelli, Roma, 1946.

[23] P. Carabellese, L'Essere e il problema religioso cit., p. 238. In quest'opera la scissione tra religione e filosofia è ancora evidente: sebbene religione e filosofia vogliano essere ambedue tentativi per oltrepassare l'esperienza e porsi i "massi­mi problemi", hanno fondamenti diversi: la religione ha a fonda­mento l'eteronomia perché crede in un Essere trascendente, la filosofia si situa sul terreno dell'autonomia della ragione. Cfr. Ibidem, p. 247.

[24] O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico laico: Pantaleo Carabellese cit., p. 58.

[25] P. Carabellese, Critica del concreto cit., Appendice I B Concreto, pp. 220 sgg., citaz. p. 222.

[26] Ivi.

[27] P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 278.

[28] Secondo Semerari, il Concreto, che per lui è "individuazione esistenziale, plurima e relazionale dell'universale", è perciò "sintesi" di particolare e Universale, sintesi con la quale Cara­bellese si oppone sia alla concezione immanentistico-idealistica sia a quella realistico-trascendentistica, e la cui concezione è già  chiara nell'articolo del 1913 su "l'Unità" Il concretismo de 'l'Unità", come anche in Felicità o dovere? del 1915 e in La coscienza morale come teoria della volontà del 1917. Ma Semerari, che dà una lettura trascendentale e non metafisica del Concreto come sintesi e non come distinzione di particolare e Universale, critica infatti l'ontologizzazione cui Carabellese sottopose la Coscienza. Cfr. G. Semerari, La sabbia e la roccia cit., pp. 52 sgg., in partc. pp. 57 e 61.

[29] Ibidem, p. 222.

[30] Secondo Semerari Carabellese chiama concreto  quel processo di "concrescenza materiale/formale" che, ricordiamo, gli derivava da Masci. Egli nota acutamente che per Carabellese il concreto non era, contrariamente a quello che ancor oggi generalmente si pensa, l'opposto dell'astratto, il reale contrapposto all'ideale, né il particolare vuoto di universale: era invece la concrescenza strutturale di condizioni distinte e trascendentali della co­scienza quali identità e diversità, spazio e tempo, singolare e universale, soggetto e oggetto, io e Dio, pratica e teoria, ecc. "[...] che la intera tradizione filosofica occidentale aveva continuamente scisse l'una dall'altra, rendendole astratte, e [...] le aveva alternativamente scambiate per il concreto stesso, laddove esse sono ciò che sono soltanto in virtù del simultaneo e reciproco concrescere e, come subito nota un critico di C. [Ugo Spirito, L'idealismo italiano e i suoi critici, Le Monnier, Firenze, 1930, pp. 153-62, II ed. Roma, 1974] [...] nel senso di una perfetta parificazione dei diritti dei due  termini, sì che l'oggetto non sia prodotto del soggetto, né il soggetto dell'og­getto." Semerari dà dunque del concreto carabellesiano un'inter­pretazione non metafisica come Coscienza, che a noi qui invece sembra necessaria. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo critico di P. Carabellese. Genesi e significato cit., pp. 22 sgg.

[31] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., pp. 363-64.

[32] P. Carabellese, L'Essere. Parte II: Io cit.

[33] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 364-65.

[34] P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 183.

[35] P. Carabellese, Introduzione a Id., Il concetto della filosofia da Kant ai nostri giorni I. Kant cit., p. 8.

[36] A questo proposito, O. Nobile Ventura, in Id., Filosofia e religione in un metafisico laico: P. Carabellese cit., afferma con Carabellese che se la coscienza fosse solo attributo umano, se ne dovrebbe concludere un tempo in cui non sia stata, oppure immaginare un'eternità dell'uomo. Un altro studioso di Carabelle­se già ricordato, Rocco Donnici, considera il suo antiumanesimo soltanto formale: proprio perché l'uomo per Carabellese partecipa dell'eternità della spiritualità, è rinvenibile nel suo pensiero un nuovo umanesimo che, superando l'antropocentrismo, riafferma però la dimensione infinita della coscienza dell'uomo. E' nota la polemica di Carabellese contro ogni visione naturalistica e fenomenica dell'uomo che tende ad appiattirlo sulla dimensione del divenire e della storia. Il partecipare l'uomo di questa coscienza infinita significa allora superare le barriere della finitezza naturale e fenomenica e, attraverso la sua struttura spirituale, porsi al di là di essa nell'infinito. Cfr. Rocco Donnici, Comunità e valori in Pantaleo Carabellese cit., p. 96 sg.

[37] Nella Prefazione alla II ed. della sua Critica del concreto cit., p. XVII, Carabellese afferma esplicitamente che "[...] lo spirito è eterno e della filosofia oggetto è proprio lo spirito in quanto eterno [...] La filosofia perché è riflessione sull'As­soluto, può scoprire, non può e non deve creare: sarebbe la sua una creazione dell'Assoluto." 

[38] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 283. Anche altrove Carabellese ritorna sul concetto di una coscienza che non può ridursi a mera coscienza umana, né tantomeno a coscienza empirica, psichica, perché ciò significherebbe ridurre la spiri­tualità a psichicità, mentre per Carabellese lo spirito è eterno, non nasce e non muore: cfr. P. Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p. 411 sg.

[39] P. Carabellese, E' possibile filosofare? cit., in Id.,  Che cos'è la filosofia? cit., pp. 286 e 300.

[40] Ibidem, p. 279.

[41] Ibidem., p. 286.

[42] Ibidem, p. 281. Si veda anche, per il chiarimento che stiamo cercando di apportare, sempre a p. 281, non solo il titolo, ma anche l'inizio del par. 18: "Il vivere non toglie la coscienza pura. - a) Ma il vivere terreno, che diviene, consente questa elevazione nella coscienza, che è?". La sottolineatura è mia, per evidenziare sia l'elevazione, sia, soprattutto, la coscienza che è, la Coscienza, che fonda tale elevazione in essa. Anche del titolo, mirante a salvaguardare la dignità della vita terrena, ci preme invece mettere in evidenza la coscienza pura, ossia la coscienza che è, la Coscienza.

[43] Ibidem, p. 282.

[44] Ibidem, p. 281, n. 1.

[45] Cfr. anche, a questo proposito, Edoardo Mirri, Il senso cri­stiano della persona e della società nel pensiero di P. Carabel­lese, in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., in partc. p. 200, e Ernesto Pomilio, Il messaggio carabellesiano, Ivi, pp. 228 sgg. Pomilio cita una bella pagina del carabellesiano La coscienza cit., nella I ed. di AA. VV., Filosofi italiani contem­poranei cit.,  p. 181, in cui Carabellese, opponendosi all'esi­stenzialismo e all'hegelismo, afferma che la coscienza pura sottrae il vivente alla morte, in quanto lo trasforma in pensante e così gli fa oltrepassare il divenire transeunte della natura per porlo nell'essere eterno dello spirito. Pomilio sottolinea  come questa concezione sia un ideale ascetico della vita che si ribella alla dimensione finita del tempo (Carabellese la defini­rebbe della temporaneità) e, trascendendo se stessa nel pensare puro, si situa nell'infinita eternità.  Questo stesso riconosci­mento del punto dirimente rispetto all'esistenzialismo costituito dalla diversa concezione dell'uomo tra infinitezza e finitezza viene  anche da Enrico M. Forni, Il problema dell'esistenza in Kant, nell'interpretazione di Pantaleo Carabellese cit., in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., pp. 307 sgg. Ma, seppure il discorso di Forni risulta allargato e articolato - egli mette infatti in rilievo come Carabellese risentisse dell'interesse europeo nei confronti dell'esistenzialismo che si verificò intorno agli anni Quaranta, da cui nasce l'opera cara­bellesiana La filosofia dell'esistenza in Kant, cui Forni dedica nel suo saggio approfondita analisi -, la sua interpretazione dell'Essere-Sapere come coscienza trascendentale in senso kantia­no, che segnerebbe la sostanziale convergenza nel ripensamento del pensiero kantiano di Carabellese con l'esistenzialismo, nonostante egli metta in luce di tale concezione dell'essere-pensiero l'importanza, ci sembra non colga il fulcro della que­stione, che non è trascendentale ma metafisica. Ma poi Forni, seppur non parlando di metafisica critica ma di ontologismo critico, non manca di sottolineare che, oltre alla ridefinizione del problema dell'esistenza, ciò che condusse esistenzialismo e ontologismo critico a percorrere strade diverse fu che quest'ul­timo perverrà ad un allargamento della coscienza fuori dai confi­ni gnoseologici in una direzione oggettiva che oltrepassa la determinatezza finita della coscienza puramente umana.

[46] P. Carabellese, E' possibile filosofare? cit., in Id., Che cos'è la filosofia? cit., pp. 342 e 344.

[47] Ibidem, p. 284-85, n. 1. La sottolineatura è mia. Ribadendo che solo la Coscienza propriamente è, Carabellese ne La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p. 440 sg., afferma che solo essa, considerata nella sua purezza, ci indica l'Essere, superando l'empiricità del divenire che invece risulta alla coscienza empirica.

[48] Ibidem, p. 284. Le sottolineature sono mie.

[49] Un primo originario nucleo di questa concezione dei soggetti si può rinvenire ne L'Essere e il problema religioso. A proposito del "Conosci te stesso" di B. Varisco cit., pp. 17-43. Qui Cara­bellese, nell'affrontare il problema dell'Essere, muove dall'ana­lisi della concezione varischiana della soggettività, mettendo in rilievo come per il Varisco del Conosci te stesso il soggetto empirico consiste in uno sviluppo progressivo che va dalla subco­scienza - intesa come unità primitiva di organizzazione della coscienza - alla coscienza chiara e distinta, considerata come unità secondaria. Quindi il soggetto si presenta come unità formale conoscitiva, unità che se come secondaria è conoscente, come primitiva non è però mai conoscibile nel senso di sperimen­tabile. L'essere il soggetto come coscienza secondaria un'unità  formale conoscitiva è di chiara derivazione kantiana come forma che unifica il molteplice dell'esperienza, centro di attività spontanea conscia che organizza in unità l'esperienza. Ma è  nell'essere il soggetto un'unità primitiva subconscia non speri­mentabile che dal piano trascendentale si ha un salto nel piano metafisico dell'Individuum metafisico e dell'Essere: infatti in tutte le unità primitive è implicito un elemento unico e comune che le costituisce tutte, l'Essere, il quale, indeterminatissimo in sé, trova in ciascuna unità primitiva la propria determinazio­ne, così da rendere ciascuna differente dall'altra. Mentre l'Es­sere è uno in ogni spontaneità, accomunandole tutte, ognuna ritrova la propria specificità nel sentimento, elemento alogico e irrazionale, ma ancor più nel rapporto per cui si distingue dagli altri io. Oltre a sottolineare l'importanza di questa concezione del soggetto, che già dal 1914 era in connessione al problema dell'Essere, vorremmo intravvedere qui un primo affacciarsi di quella originaria intersoggettività che caratterizzerà il pensie­ro maturo di Carabellese.

[50] Cfr. P. Carabellese, Critica del concreto cit., pp. 124 sg.: "[...] questi distinti della coscienza, molti e unico, singolare e universale, soggetto e oggetto, sono condizioni trascendentali della coscienza [...] inseparabili, e in questa loro inseparabi­lità sono l'essere concreto, la coscienza attiva [...] distinzio­ne [che] è ineliminabile, come distinzione dei distinti e reci­proca loro richiesta. Questo è il vero valore della trascendenta­lità kantiana, dalla quale la filosofia si è allontanata, ponendo come trascendentale il soggetto. [...] trascendentali invece sono i soggetti di coscienza, a condizione che trascendentale sia anche, anzi prima, l'oggetto di coscienza." Anche qui, come altrove, non possiamo fare a meno di notare la compresenza del piano gnoseologico, del piano trascendentale e del piano metafi­sico.

[51] Ambedue le citazz. sono prese da Ibidem, pp. 161 e 163.

[52] Secondo Luigi Cimmino, il concreto è per Carabellese struttu­ra, "[...] un orizzonte di rapporti che non suppone l'immediatez­za, l'antecedenza reale dei termini di cui è composta, bensì vive in piena fusione con essi [...]": " [...] una struttura i cui elementi sono inseparabili, o la cui separazione coincide con la perdita di significato proprio degli elementi che la compongono.", perché appunto tale separazione significa l'astrat­tezza degli elementi, che solo nel rapporto e del rapporto con­creto vivono. Così, secondo Cimmino, il concreto è per Carabelle­se la riaffermazione del valore della molteplicità, che è sempre molteplicità in relazione strutturata. Affermare che i termini della relazione non sussistono prima e indipendentemente dalla relazione stessa, che è perciò l'originario, significa, nota acutamente Cimmino, allontanare da tali termini il surrettizio concetto realistico di cosa. "[...] nell'<<ontologismo>>, concre­to significa essere assoluto, pensato come unità (l'unico Ogget­to) di un molteplice (dei molti soggetti)." Cfr. Luigi Cimmino, Carabellese Il problema dell'esistenza di Dio cit., rispettiv. pp. 25, 26, 69.

[53] P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 170 sg., e, più in generale, pp. 170-78.

[54] Che la coscienza come sapere l'essere implichi sempre un chi e un qualche cosa, e che questo chi e questo qualche cosa siano stati separati in un dualismo soggetto-oggetto che identifica il soggetto con la coscienza e l'oggetto con l'essere è da Carabel­lese ripetuto anche in altri luoghi: "A questo <<chi>> identifi­cato con la coscienza è stato dato, nella filosofia moderna, nome e valore di soggetto; a quel <<qualche cosa>> estraniato dalla coscienza è stato dato invece nome e valore di oggetto. Così il dualismo di sapere e essere quasi si ipostatizzò [...]: il sog­getto sa, l'oggetto è [...]." Cfr. Ibidem, p. 184.

[55] Ibidem, p. 177.

[56] P. Carabellese, Critica del concreto cit., Introduzione, p. XI. Anche ne L'idealismo italiano cit., p. 185, Carabellese riprende la stessa argomentazione, considerando falsa l'imposta­zione che vuole il soggetto come coscienza e l'oggetto come essere, perchè priva "[...] di essere il soggetto e di coscienza l'oggetto [...] la soggettività è la plurale singolarità (di coscienza e di essere) espressa nel <<chi>> [...] l'oggettività invece è l'unicità (di coscienza e di essere) [...] il <<chi>> non resta privo di essere; il <<qualche cosa>> non resta privo di coscienza."

[57] Ibidem, p. 187, e, più in generale per tutta questa argomenta­zione, pp. 183-191 e pp. 198 sgg.

[58] Questa stessa critica avrebbe dovuto forse, all'epoca della polemica sull'ateismo, leggere, in una bella nota sulla superbia ma anche sulla necessità della libertà di pensiero del filosofo che voglia far avanzare la ricerca, quello che Carabellese dice nel mentre afferma consapevolmente la novità della propria ri­flessione su Dio come Oggetto di coscienza, riguardo alle linee della sua maturazione, attraverso "[...] Platone con l'idea, Anselmo con l'argomento ontologico, San Tommaso e la scolastica con la distinzione della realtà oggettiva dalla realtà formale, ecc. oltre agli immediati incitamenti di Kant e Rosmini." Cfr. P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., n. p. 162.

[59] Dario Galli afferma che per la "[...] sua decisa e vigorosa rivendicazione del valore della persona, intesa come soggettività singolare e individuazione dell'Assoluto, nella sua realizzazione dei valori, il Carabellese si inserisce in quella corrente di pensiero, che dai primi decenni del secolo è venuta promuovendo un profondo risveglio culturale e ha riscattato dalle negazioni materialistiche le supreme idealità dello spirito. Ma, a diffe­renza di taluni suoi contemporanei che, nel fervore della polemi­ca antiintellettualistica si sono portati su posizioni irraziona­listiche, per contrapporre a paradossi altri paradossi, il Cara­bellese non ha negato mai il valore della ragione e la sua inso­stituibile funzione." Cfr. D. Galli, Il valore teoretico e stori­co dell'ontologismo critico cit., in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., p. 358. Ciò sebbene si sia notato come Carabellese attribuisca in alcuni luoghi della sua opera tale valore non a tutti gli uomini, ma solo ai credenti, e che abbia una concezione aristocratica del sapere.

[60] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 108.

[61] P. Carabellese, Ho io coscienza di Dio?, Conferenza promossa dal Centro Romano Studi presso l'Università degli Studi di Roma nell'A.A. 1947-48, poi stamp. in AA.VV., Il problema di Dio cit., p. 68.

[62] Carabellese in più luoghi dei suoi scritti adopera indifferen­temente il termine "essere" o il termine "coscienza" per definire  il medesimo concetto, la Coscienza o Concreto. Invece ne La filosofia dell'esistenza in Kant,  ciò che altrove definirà “coscienza"  qui è definito come "essere", all'interno del quale vi è una distinzione tra l'Essere in sé, ossia l'Essere unico, Idea, Dio, ed essere in altro, ossia essere molti, i soggetti. Cfr., anche per ciò che si sta discutendo nel testo, P. Carabel­lese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., pp. 522 sgg. Ma in un altro luogo della sua opera Carabellese, evidentemente riferendosi alla coscienza come potenzialità del soggetto e non alla Coscienza metafisica di cui ci stiamo occupando, pone in rapporto l'Essere e la coscienza, distinguendoli, quando afferma: "Noi traiamo dalla coscienza la certezza che l'essere è; questo è principio inconfutabile. Ed è anche principio dell'idealismo, giacché porta con sé necessariamente l'altro, pel quale l'essere è della coscienza [...]". Cfr. P. Carabellese, Critica del Con­creto cit., p. 25. Ma rapporto significa  necessaria distinzione tra l'Essere e la coscienza, in quanto l'Essere è Oggetto della coscienza, la quale a sua volta è soggetto dell'essere. Infatti: "L'essere, adunque, essendo essere della coscienza, deve essere saputo (dimostrato) da essa: è stato perciò ritenuto oggetto della coscienza. Reciprocamente la coscienza, essendo coscienza dell'essere, deve essere entificata (affermata) da esso: è stata perciò ritenuta soggetto dell'essere." Ibidem, p. 26. Ma dire distinzione tra Essere e coscienza non significa dire separazio­ne, poiché, come si dice nella stessa p. 26,: "Essere e coscienza sono dunque insieme come esigenze della stessa attività: la concretezza."

[63] Ibidem, p. 113.

[64] Ibidem, p. 114.

[65] Ibidem, p. 115.

[66] Ibidem, p. 122.

[67] Giovanni Cera, a proposito del concetto carabellesiano di Oggetto, afferma che Carabellese  mira a superare l'alterità sia realistica che idealistica dell'oggetto come estraneo. Ma poiché l’Oggetto è Dio, "L'ontologia fonda o, addirittura, annulla la gnoseologia." Cfr. G. Cera, Sul rapporto oggetto-soggetto nell'ontologismo di Carabellese cit., in AA.VV., Pantaleo Cara­bellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., pp. 143 sgg., p. 148. Anche Gustavo Bontadini, che vede nell'unicità dell'Oggetto e nella molteplicità dei soggetti i punti di maggior attrito con l'idealismo, riconosce che si ha in Carabellese uno spostamento del concetto di oggetto dal campo gnoseologico al campo metafisi­co. Cfr. G. Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, La Scuola, Milano, 1945, parr. 9 e 10. La nostra tesi, che riconosce la validità di queste interpretazioni, è però più radicalmente quella che in Carabellese si avverte una connessione del piano gnoseologico e di quello metafisico non sempre adeguatamente supportata dalle argomentazioni, che, oltre a risentire del continuo traslitterare di piano, nascondono spesso altre argomen­tazioni inespresse che sono da ricostruire, come abbiamo cercato di fare.

[68] P. Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p. 377-401, in partc. pp. 388-389. A p. 401 Carabellese riporta l'esempio di Cristo che nel Discorso della Montagna rende espli­cito l'essere ognuno figlio di Dio: "Da Kant, che impoverì Carte­sio, bisogna risalire a Cartesio, che gnoseologizzò la scoperta cristiana dei soggetti, bisogna risalire al Cristo del discorso della montagna, che, con la sua divina feconda intuizione dei pensanti come tutti, nella loro ciascunità, figli di Dio, fondò la religione positiva più aderente alle esigenze di coscienza. In filosofia bisogna certo spogliare tale intuizione del naturalismo che è in quel <<figli>> e in quel <<Padre>>, ma l'intuizione resta mirabilmente valida e feconda." Quando Carabellese pensa alla comunità umana basata sulla comunicazione tra le esistenze pensa dunque alla comunità nella sua totalità, compresi coloro che si professano atei.

[69] Silvano Buscaroli considera il problema della comunicazione tra soggetti uno degli aspetti più rilevanti del pensiero di Carabellese. In questo contesto l'Oggetto diviene "ciò in cui e per cui si pensa", ossia condizione prima e unitaria di possibi­lità di tutti gli oggetti, garanzia dell'oggettività e dell'uni­versalità della conoscenza, e quindi fondamento della comunica­zione tra i soggetti stessi. Cfr. S. Buscaroli, La rilevanza perenne di Carabellese, nell'ascesi di coscienza cit., in AA.VV., Pantaleo Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., p. 197 e n. 20, p. 201. Ci sembra di dover sottolineare che il discorso di Carabellese riguardi il piano metafisico dei soggetti nel senso di pensanti-che-vivono e non solo in senso empirico-esistenziale.

[70] Bisogna sottolineare che questa concezione dell'essere sogget­to e persona  in quanto nel pensare affermo con gli altri il Principio unico conduce Carabellese ad affermare, a p. 403 de La filosofia dell'esistenza in Kant cit., che l'espressione carte­siana "<<gli atei non possono avere scienza>>" significa che "se questi veramente ci fossero tra i pensanti, non sarebbero perso­ne.", ossia che "coloro che si professano atei non dicono nulla", ossia che sono insipiens, non sanno quello che dicono, non pensa­no e non sanno. E poi aggiunge: "Le persone sono dunque gli affermatori di Dio, gli spiriti." E ancora: Ma la coscienza non è soltanto ragionare: è anche credere. E perciò possiamo essere persone." Il me puro, lo spirito, la vera soggettività, la co­scienza per Carabellese risiede dunque nella religiosità, intesa sul piano umano non come credo determinato e specifico di una religione storica, ma nel senso religioso che è a fondamento di tutte.

[71] P. Carabellese, Ho io coscienza di Dio? cit., in AA.VV., Il problema di Dio cit., p. 63.

[72] Giorgio Fano, limitandosi in un primo tempo al piano trascen­dentale, esprime in termini molto chiari il rapporto tra soggetti e Oggetto come condizioni trascendentali del Concreto. La molte­plicità dei soggetti è condizione perché possa darsi un'esperien­za nella realtà e non solo nella solipsistica condizione della mia fantasia: l'esperienza è sempre qualcosa di condivisibile che non vale unicamente per me, e quindi presuppone una soggettività molteplice. Soltanto in quanto il contenuto di quell'esperienza è comune, esso è oggetto. Fano illustra poi, passando dal piano trascendentale al piano metafisico, con un paragone calzante il rapporto tra i soggetti e l'Oggetto quando afferma: "[...] i singoli soggetti virtuosi, i soggetti morali, sono tali in quanto realizzano l'ideale del Bene, cioè l'oggetto della morale, ma questo ideale [...] sussiste soltanto in quanto si realizza nelle azioni degli esseri virtuosi." Cfr. G. Fano, La situazione ana­cronistica di P. Carabellese, ultimo dei grandi metafisici, in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., pp. 102 sgg., p. 106.

[73] P. Carabellese, Il problema teologico come filosofia cit., p. 130, e, più in generale per la concezione della Coscienza, pp. 127-130.

[74] Cfr. G. Semerari, Nota introduttiva a P. Carabellese, La filo­sofia dell'esistenza in Kant cit., pp. VI sgg.

[75] Franco Fanizza afferma che la trattazione carabellesiana del tema del rapporto soggetto/oggetto anticipa e si inserisce in quello che è il vero tema generale della nostra epoca filosofica, quella crisi del soggetto e dell'oggetto che però in Carabellese non assume, proprio per gli aspetti contenutistici della sua filosofia, il significato di pensiero negativo: "Carabellese raffigurò sempre se stesso, esplicitamente, non come filosofo della crisi, ma come il teorico superatore di essa; non come o soltanto come il distruttore di una certa trama e di un certo apparato logici e metafisici, d'altronde in disfacimento, ma soprattutto come il (ri)scopritore e, si è detto, il (ri)costrut­tore dell'autentico sistema dell'Essere, ossia dell'unico e vero onto-logismo [...]". Cfr. F. Fanizza, Conoscere ed essere. Cara­bellese e l'esigenza dell'ontologismo integrale cit., in AA.VV., P. Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., pp. 64 sg., p. 68.

[76] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 46. In questa citazione si avverte già,  sfumata, la polemica contro un sogget­to mutilato e ridotto a solo soggetto epistemico cui tra poco accenneremo, come pure la polemica nei confronti dello gnoseolo­gismo. A proposito della Critica del concreto, c'è da notare che gran parte dell'opera è concentrata nell'analisi apparentemente gnoseologica ma in realtà ontologico-metafisica del soggetto e dell'oggetto nonché del loro rapporto, del loro significato e dei travisamenti ai quali sono stati sottoposti nelle principali correnti del pensiero filosofico. La ragione prima di quest'ana­lisi è da Carabellese esplicitata solo in un inciso di p. 99: "Oggi questo ripensamento di quel che soggetto ed oggetto valgano per loro stessi non si fa, ed è invece la condizione necessaria per lo svilupparsi e progredire del pensiero speculativo [...]." [sottol. mia].  Carabellese afferma in altre parole che più a fondo della questione conoscitiva si trova la questione metafisi­ca, ossia che radicalizzare la domanda critica su "come è possi­bile conoscere" significhi porre l'altra domanda "come è possibi­le essere" (nell'Introduzione, a p. XI, egli farà un esplicito accostamento tra le due domande, dicendo appunto che dalla prima egli non ha fatto altro che far scaturire la seconda). E' come se ogni volta che noi ci poniamo la questione conoscitiva non faces­simo che porci in termini impliciti o scarsamente consapevoli la domanda metafisica, la domanda fondamentale, e che è solo tornan­do a questa, alla questione radicale da cui nasce il pensiero, che questo stesso pensiero può ulteriormente svilupparsi: "Sembra un ritorno ad una vieta ontologia dogmatica, ed è invece il naturale sviluppo della concezione critica della realtà." (ancora ivi, p. XI)

[77] Ibidem, pp. 48 sg.

[78] Secondo Ivanhoe Tebaldeschi, Carabellese muove dall'esigenza di superare la contrapposizione, nell'esperienza, tra l'in me e il fuori di me. L'esperienza, nella sua originarietà e in qualun­que sua forma, è per Carabellese sempre rapporto tra l'io e il mondo, rapporto che non è mai la conseguenza di una scelta, ma sempre originariamente posto: l'io è essere in relazione, sia con gli altri io nella struttura trascendentale della coscienza, che è l'Io penso, sia con gli altri enti mondani, ossia nel Concreto. Cfr. I. Tebaldeschi, L'essere e l'implicazione di coscienza nel pensiero di Pantaleo Carabellese, in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., pp. 149 sgg. Ci asteniamo dal ripetere che a nostro parere la Coscienza assume in Carabellese una dimensione metafisica e non solo trascendentale.

[79] Vorremmo sottolineare che Carabellese chiama "antitesi della soggettività" il fatto che il concetto di soggetto significhi per lui da un lato ente attivo consapevole della propria attività, dall'altro ente che passivamente riceve dal mondo esterno stimoli ed azioni, "[...] in breve, soggetto ad altro diverso da me e agente su di me." Cfr. P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 75, e, in generale, pp. 75 sgg.

[80] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 292, n. 1. Carabellese si riferisce qui, in quest'opera ristamp. e ampl. del 1942, alle critiche mossegli da Padre Lombardi nella famosa polemica su "La Civiltà Cattolica", già ricordata, del 1941, quindi posteriormente anche al XIV Congresso Nazionale di Filoso­fia del 1940 in cui Gustavo Bontadini e Sofia Vanni Rovighi mettono a punto un'analisi dell'"ontologismo critico" sia rispet­to al realismo scolastico sia rispetto all'idealismo sia rispetto alle incongruenze che dal loro punto di vista quell'"ontologismo" presenta. Cfr. par. 11 dell'Introduzione di questa ricerca.

[81] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 80.

[82] Ibidem, pp. 82 sg.

[83] Ibidem, pp. 84 sg.

[84] P. Carabellese, Il problema della filosofia da Kant a Fichte cit., Introduzione, p. 8.

[85] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 96 e, più in generale per questa argomentazione, pp. 80-96. E' proprio l'esse­re l'Oggetto l'universale di coscienza ciò che fonda l'intersog­gettività: il rapporto tra i soggetti è possibile, e il solipsi­smo e il monadismo vengono allontanati, perché tutti i soggetti sono accomunati dal medesimo Oggetto di coscienza, che costitui­sce il loro universale.

[86] Di fondazione metafisica dei soggetti nella pluralità del loro dialogo intersoggettivo parla Edoardo Mirri nel già cit. Il senso cristiano della persona e della società nel pensiero di P. Cara­bellese, pp. 200 sgg., laddove questa pluralità soggettiva non è esistenzialisticamente quella dei soggetti finiti, ma quella che ha in sé il senso eterno della persona.

[87] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 132.

[88] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 57.

[89] P. Carabellese, Critica del concreto cit., p. 134 sg.

[90] P. Carabellese, Io cit., pp. 164, 166, 169, 171.

[91] Nel suo Il messaggio carabellesiano, in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., n. 2, p. 224, Ernesto Pomilio ricorda come per Bontadini permanga in Carabellese "l'ombra dell'antite­tismo" nel rapporto soggetti-oggetto.

[92] P. Carabellese, Critica del Concreto cit., pp. 203 sg.

[93] Ibidem, p. 181.

[94] Ibidem, p. 185.

[95] Ibidem, p. 197.

[96] Ibidem, p. 201.

[97] Ibidem, ancora p. 201 sg.

[98] Cfr. O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico laico: Pantaleo Carabellese cit., p. 89.

[99] Se per Ornella Nobile Ventura il Dio carabellesiano è "imma­nente e trascendente insieme", per Pietro Cristiano Drago, dalla Nobile Ventura citato, "[...] la [...] trascendenza (di Carabel­lese) è ancora immanenza [...] non mi riporta ad una qualsiasi realtà fuori della coscienza, ma è ancora un modo della coscien­za.", laddove è proprio qui, nell'essere la trascendenza di Dio interna alla Coscienza (intesa da noi metafisicamente e non sog­gettivisticamente), che si intravvedono a nostro parere le mag­giori difficoltà del rapporto tra Principio e Termini, col peri­colo di un circolo vizioso tra trascendenza e immanenza. Cfr. Ibidem, in partc. p. 74, e P. C. Drago, La metafisica di P. Carabellese, in AA.VV., Filosofi contemporanei, Pubblicazione a cura della Sezione di Torino del Reale Istituto di Studi Filoso­fici, Bocca, Milano, 1943, p. 50.

[100] Per Padre Ambrogio Manno il Dio carabellesiano è trascendente e immanente insieme: cfr. A. Manno, L'Assoluto nell'ultimo pen­siero del Carabellese cit., in Giornate di studi carabellesiani cit., in partc. p. 443.

[101] P. Carabellese, Tra arcaismo e ateismo cit., in "Giornale critico della filosofia italiana" cit., p. 166.

[102] Corrado Dollo, rinvenendo in ciò una carenza dell'ontologismo, afferma: "Se l'Assoluto è Coscienza non può non essere Soggetto." Cfr. C. Dollo, Momenti e problemi dello spiritualismo (Varisco, Carabellese, Carlini, Le Senne) cit., p. 142.

[103] Così si può concordare con O. Nobile Ventura (cfr. O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisisco laico: P. Cara­bellese cit., pp. 60-65) che il Dio carabellesiano è immanente e trascendente insieme: è immanente come Oggetto puro della co­scienza, immanenza che rende possibile la sua conoscibilità di diritto che apre la via alla filosofia come sforzo inconcluso di esplicitazione dell'implicito, ed è trascendente come sempre ulteriore al di là che si pone con la sua inesauribilità nella sua inconoscibilità di fatto, che non si trasforma mai in posses­so. In questo essere la trascendenza lo scacco e l'eterno al di là dell'esistenza che pure la trova dentro di sé come possesso virtuale, Carabellese è vicino a Jaspers.

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